Durante tutto il tragitto l’autoradio aveva urlato le canzoni di Lucio Battisti. Fuori pioveva. Era buio. Massimiliano ci dava dentro con il pedale dell’acceleratore e con la leva del cambio. La musica troppo alta sovrastava il rumore del motore che veniva spesso messo sotto sforzo. Con la mano destra stringeva la calibro ventidue del padre gioielliere, per terra, sul pianale, gli sbatteva fra i piedi una bottiglia vuota di Chivas Regal. Cantava.
Seduti sul sedile posteriore c’erano Deasy e Luca. Deasy aveva il viso bagnato di lacrime e quel poco di trucco che abitualmente usava le colava dappertutto. Luca era serio, con la fronte lavata di sudore e gli occhiali che gli scivolavano sulla punta del naso. I due si stringevano la mano.
«Dove ci stai portando?»
Nessuna risposta, solo lo stereo che continuava imperterrito a far
risuonare le note e le parole di una vecchia canzone:…e guidare a fari
spenti nella notte per vedere se è così facile morire..
La Lancia Y svoltò verso la zona industriale. Rallentò, raggiunse un
vecchio parcheggio dismesso di un’acciaieria abbandonata e si fermò.
Massimiliano abbassò il volume dell’autoradio e si voltò verso Luca e Deasy.
«Scendete!» ordinò
I due, terrorizzati, non si mossero.
«Ho detto di scendere cazzo!» urlò Massimiliano.
La pioggia era un po’ diminuita, Deasy e Luca scesero dalla macchina.
Massimiliano accese loro in faccia gli abbaglianti, poi anche lui uscì dalla Y.
Balzò in piedi sul cofano dell’auto e si sedette sulla cappotta con le gambe
che penzolavano sul parabrezza. Tolse da una delle tasche del giubbotto di
pelle un pacchetto di Marlboro rosse, prese una sigaretta e se l’accese. Aspirò
una lunga boccata di fumo che trattenne
qualche secondo nei polmoni prima di ributtarla fuori lentamente.
Deasy singhiozzava, aveva tutto il vestito bagnato. Anche i capelli,
neri come piume di corvo, erano bagnati e le si erano appiccicati alla faccia.
Illuminata com’era dalla luce diabolica dei fanali trafitti dalla pioggia,
assomigliava molto ad un fantasma.
Luca non aveva neppure il coraggio di togliersi gli occhiali inondati.
S’era pisciato addosso senza quasi accorgersene.
«Se hai deciso di ammazzarci fallo subito» aveva però avuto il coraggio
di dire.
Massimiliano si mise a ridere: «Hai fretta di crepare frocetto?»
La pioggia aveva di nuovo cambiato ritmo. Tamburellava sulla
carrozzeria della Lancia Y sempre più debolmente, mentre la voce di Battisti si
faceva strada dall’interno dell’auto.
«Sai qual è il cantante preferito di Deasy, stronzo?»
Silenzio.
«Su…prova un po’ a indovinare? non è difficile»
Luca non riusciva a reagire alle provocazioni di Massimiliano, aveva
paura, si sentiva spacciato. Stava per essere ucciso.
Più d’una volta, leggendo qualche libro di genere, oppure perdendosi
dietro alla trama di qualche film d’azione, gli era capitato di pensare a come
avrebbe reagito nel momento in cui la
sua vita fosse stata messa in pericolo. Ora lo sapeva, e non era facile
accettarlo. Aveva voluto credere a ciò che aveva letto e visto al cinema, ma la
realtà era diversa. Priva di qualsiasi drammatizzazione. C’era solo la paura
che ti paralizzava, eppure, in quel frangente, a parte il terrore, era come
respirare un’altra aria. Era il proprio destino che si andava compiendo come se
non potesse svolgersi altrimenti. Nessuna forzatura, nessuna adrenalina.
Niente, solo la fine sempre più vicina e l’illusione che tutto fosse una
finzione.
Luca se ne stava lì, immobile, incapace di pronunciare una sola parola,
con la coscia pisciata. Non tremava, non piangeva, aveva solo una gran
confusione in testa. Il giorno dopo aveva lezione di storia dell’arte
contemporanea, si sarebbe perso la spiegazione dell’atelier di Courbèt e la
sera la partita di calcetto con gli amici.
«E’ Lucio Battisti» disse, come se, dopo lunghi istanti di riflessione,
Luca avesse finalmente ritrovato un po’ di autocontrollo.
Massimiliano applaudì: «Bravo, hai fatto centro! Sei un campione!» lo
schernì.
Non pioveva quasi più.
Deasy era caduta in ginocchio e aveva fortissimi dolori al petto
causati dal pianto convulso che non riusciva più a controllare. Voleva farla
finita il più presto possibile, non ce la faceva a reggere tutta quella
tensione, sentiva che sarebbe morta comunque.
Massimiliano le si avvicinò.
«Deasy…Deasy amore mio che c’é…che ti succede, perché piangi?»
Deasy singhiozzava isterica.
«Su alzati, asciugati le lacrime…prendi il mio fazzoletto» le disse
Massimiliano.
Deasy non aveva forze, si lasciò asciugare il viso da quel folle. Lo
guardò negli occhi disperati.
«Ti amo Deasy» le disse Massimiliano.
Deasy non disse nulla, aveva capito che presto quell’incubo sarebbe
finito. Si accorse di essere ancora innamorata di Massimiliano soltanto un
attimo prima di chiudere gli occhi per sempre. Non era adirata con lui quando
gli puntò la canna della pistola dritta in fronte, anzi gli accarezzò la mano
esitante.
«Spara!» gli sussurrò
. Fu un istante, un lampo che squarciò la notte, un boato. E Deasy cadde.
Tlic…tlac…tlic…l’autoreverse della vecchia autoradio stava per iniziare
a decodificare il secondo lato della cassetta. …Ho visto un uomo che moriva
per amore… L’impianto era antiquato e non era provvisto di lettore Cd.
Di nuovo un bagliore, di nuovo il frastuono di un colpo esploso.
Massimiliano si accasciò accanto alla sua Deasy. La pioggia, sempre più pigra,
lavava via il sangue di entrambi.
Luca cominciò a riprendersi solo grazie alle luci intermittenti
della macchina dei carabinieri e quelle delle autoambulanze. Si accorse di
essere stato avvolto in una coperta. Non sapeva quanto tempo fosse rimasto
così. Il suo telefono cellulare, con lo sportellino ancora aperto, giaceva a
terra vicino a due lenzuoli bianchi rigonfi. Nel suo stato di incoscienza Luca
doveva essere riuscito ad avvisare qualcuno e a comunicare il luogo nel quale
si trovava.
«Cosa è successo?» domandò al carabiniere che gli era vicino e che era
impegnato alla trasmittente, ma in cambio ricevette solo un po' di compassione
nello sguardo.
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