In questo racconto, Giuseppe Novellino, mette in luce ancora una volta la propria vena ironica. Da bravo autore egli riesce a trovare nelle pieghe di un realismo apparentemente fuori moda la storia da raccontare. Forse ciò che viene narrato in questo racconto è accaduto davvero o forse ciò che Novellino illustra è la rivisitazione letteraria di un fatto che gli hanno raccontato. Poco importa, ciò che conta è che questa storia è stata messa nero su bianco, ciò che conta è che qualcuno la può leggere e trarne le considerazioni che vuole.
SALMONE
Pioviggina.
Goccioline di acqua ghiacciata sono portate da un venticello che s’infila nei
vicoli della città vecchia e frusta dolorosamente la faccia.
Antonio è appena uscito dal negozio, stringe
al fianco il sacchetto di cibarie da poco acquistate; dovrebbe rientrare a casa
il prima possibile perché sono quasi le sette e Wanda lo attende per mettere
qualcosa in pentola. Ma i piedi gli sono diventati pesanti, come se si
volessero rifiutare di portarlo, attraverso le viuzze che sono particolarmente
tristi (almeno così a lui sembrano) e fredde, quella sera di fine febbraio.
Imboccata via Cavallotti, si sente come Cristo
sul Calvario. E quando è in prossimità di Piazza Campello, s’infila in un bar.
C’è un bel calduccio lì dentro, pochi avventori e dietro il banco una donna
bionda, bene in carne, che strofina bicchieri con aria svagata. Da una radio
viene la voce di Gino Latilla che canta Tutte
le mamme, il suo successo dell’ultimo Sanremo.
Sceglie un tavolo in fondo al locale,
sotto una targa con la reclame della China Martini. Posa il sacchetto su una
sedia, si accomoda e accavalla le gambe, guardando davanti a sé con aria avvilita.
Infila una mano in tasca per prendere una sigaretta, ma non ne ha. E quando la
florida barista gli si avvicina per l’ordinazione, lui risponde:
«Un’aranciata». Non che ne abbia voglia, ma non gli viene in mente nient’altro.