Di tutta la fatica fatta per raggiungere la cima,
non gli restava altro che la soddisfazione di esserci riuscito. La spossatezza,
a quell’ora tarda del pomeriggio, cominciava a farsi sentire nei muscoli e
nelle ossa. Ogni tanto, mentre procedeva sulla via del ritorno, i crampi gli
mordevano i polpacci rubizzi e nudi, e per questa ragione era stato più volte
costretto a fermarsi per distenderli prima di poter continuare sul sentiero.
Allo smarrimento fisico non era seguito quello
psicologico fino a quando il crepuscolo non aveva fatto la sua teatrale
apparizione da dietro i rami degli alberi, solo allora, Luca, s’era reso conto
che forse quello che stava facendo non era lo stesso passo che lo aveva
condotto fino a quota milleduecento.
Una piccola montagna degna giusto d’una
passeggiata da principianti, ma con pendenze, lungo alcuni tratti di strada,
davvero dure per uno che non era abituato a muoversi troppo. E la vegetazione
era ben fitta. Se poi i punti di riferimento che aveva preso quando era salito
iniziavano ad adombrarsi, perdere il sentiero sarebbe stato persino facile.
Ricordava, infatti, che in più di un’occasione
aveva superato senza troppo starci a pensare due o tre punti in cui i sentieri
si dividevano e procedevano paralleli per diverse centinaia di metri. In questo
modo lo stesso paesaggio doveva essere visibile sia sull’uno come sull’altro
percorso. Improvvisamente però le vie si allontanavano definitivamente e mentre
la prima conduceva da una parte la seconda finiva chissà dove.
Luca doveva essersi sicuramente imbattuto in uno
dei sentieri che non aveva seguito salendo. Ne era ormai quasi sicuro. Intanto
il cielo da arancione era passato al rosso e
poi s’era fatto viola. La luce si faceva sempre più fioca e iniziava ad
essere difficile vedere dove mettere i piedi.
Intorno stormivano i rami mossi dalla brezza
serale e più su, verso gli alpeggi, era un concerto di grilli e altri insetti.
Il buio piombò con la pesantezza di un maglio e benché Luca si trovasse
all’aperto la sua vista dovette comunque abituarsi al cambiamento di luce.
Una sensazione di panico si impossessò di lui,
annichilendolo come quando da bambino aveva paura del baluginare dei lampi dei
temporali. Sentì un groppo in gola ed ebbe voglia di piangere. La solitudine
nel bosco lo atterriva come la paura di finire in qualche burrone e rompersi
l’osso del collo se avesse deciso di cercare di rientrare al buio.
Non sapeva proprio cosa fare. Alla fine si
dissuase a passare la notte all’addiaccio. Nel momento stesso in cui si convinceva
che quella era la soluzione più logica, il terrore, che fino a poco prima lo
aveva attanagliato, iniziò a sbiadire come una vampa di vapore lacustre che
lascia spazio al lucore delle stelle. Tolse dallo zaino la felpa della tuta e
il telo da spiaggia che s’era portato dietro per sdraiarsi al sole del
pomeriggio. Cercò un posto abbastanza riparato e pianeggiante sul lato del
sentiero e s’accampò lì alla benemeglio.
Per fortuna era
estate e la temperatura non era scesa poi tanto. Si sdraiò sull’asciugamano
doppio avvolgendosi con la parte che restava libera, spinse sotto la testa lo
zaino con dentro i resti del pranzo e l’ultimo libro del suo autore preferito e
attese il sonno pacificamente.
Si svegliò al mattino
che il sole era già alto, e mentre si tirava su col busto udì vicinissimo la
voce di qualche escursionista. Si strizzò gli occhi e vide una folla d’arrampicatori
della domenica che gli passava di fianco divertita. S’alzò, tornò sul sentiero,
e solo allora si rese conto che era quasi arrivato sul grande spiazzo sterrato
dove finiva la strada asfaltata e che fungeva da parcheggio per le automobili.
Raccolse tutte le sue cose e senza essere troppo turbato per quell’avventura s’avviò
verso il chiosco del bar. Aveva fame, e si concesse un ricca colazione.
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