Ha un sapore antico questo stupendo raccontino che Giuseppe Novellino ci propone qui di seguito. Con rara capacità, l'autore ha saputo immedesimarsi in un'atmosfera d'altri tempi ricreando una rappresentazione efficacie di un momento domestico tipica dei quadri ottocenteschi, ma anche molto vicina a quello che potrebbe essere il nostro immaginario. Tale rappresentazione risiede tutta nello stile linguistico utilizzato. Ma c'è di più. Novellino ha parodiato magistralmente gli atteggiamenti genitoriali che ancora oggi si riscontrano nelle famiglie di ogni classe sociale. I genitori, il più delle volte, non comprendono il valore dei figli, anche quando quel valore è palesemente manifesto.
Saliva dal cortile un odore di caldarroste. L’aria era immota,
gradevolmente tiepida, e il sole già si eclissava dietro le colline.
Il Conte Monaldo chiuse la finestra. Ormai l’atmosfera del salottino si
era rinnovata e adesso potevano bere in santa pace la loro cioccolata. La
moglie Adelaide, già seduta al tavolino, armeggiava con il servizio di
porcellana.
- Marito mio, siete servito. Non indugiate, altrimenti si raffredda.
Bofonchiando, lui si sedette, stringendosi nella giacca da camera.
- Codesta recente abitudine della cioccolata alle cinque – disse il
conte - comincia a disturbarmi l’appetito per la cena. Ma tant’è. Il piacere
deve avere pure i suoi costi.
- Bevete, bevete. Il potere di questa bevanda è comprovato: stempera le
malinconie, tonifica il fegato e corrobora il cuore. Ma con moderazione, certo.
Dopotutto la nostra pratica non è quotidiana. Di sabato e di lunedì non la
beviamo; e neppure il venerdì, essendo il giorno della passione di Nostro
Signore Gesù Cristo. In tale misura la cioccolata è portatrice di sano e
moderato piacere, lecito in ogni caso e gradito allo spirito.
- Adelaide, voi vedete tutto attraverso la lente della virtù.
- L’unica visuale che ci è consentita.
- D’accordo – fece Monaldo,
afferrando la tazza fumante. – Che dire allora degli abitanti della lontana
Albione? Essi prendono puntualmente il tè alle cinque di ogni sacrosanto giorno
dell’anno. Capisco che il piacere che arreca quella bevanda non è equivalente a
questo della cioccolata. Eppure essi l’accompagnano sovente con biscottini
burrosi, pastarelle, tortine e quant’altro. Tutto cibo che appesantisce il
corpo e ottenebra la mente.
Adelaide fece una risatina. – Certo il pericolo cui vanno incontro gli
inglesi risulta evidente. Ma non sono forse essi scomunicati dalla nostra Santa
Madre Chiesa Romana?
- Non tutti, mia cara, non tutti.
- Coloro che rispondono al Papa faranno
certamente le debite penitenze, per la gloria del Signore.
Sorseggiarono la loro
cioccolata in silenzio.
Fu dopo un bel momento che Adelaide
estrasse un foglio di carta dalla manica dell’abito. - Mi sembra il momento
adatto per sentire un vostro parere su questo componimento.
- Di che si tratta? – fece Monaldo con noncuranza, posando la tazza sul
tavolino.
- D’una strana poesiola del nostro Giacomo.
- Ve la diede egli stesso? – domandò il conte, con un certo stupore. –
Mi sembra egli geloso delle sue composizioni. Di recente tralascia gli studi e
la seria erudizione per scrivere cosucce che son forse una perdita di tempo. –
Scosse il capo. – Mia cara, non sarete voi complice della sua vanità?
- Dio me ne guardi! – esclamò lei, irrigidendosi. – Non vedo pur io di
buon occhio il perdersi di Giacomo dietro l’idea d’anteporre l’invenzione
propria e peregrina allo studio de’ classici.
- Quindi…
- Quindi non fu egli a parlarmene. Fui io a ritrovarla, in un angolo del
suo scrittoio. La copiai su un altro foglio ed eccola qui, pronta per essere
riletta.
- Sentiamo.
- Premetto, signor marito, che essa è un poco strana. Oh, non nella
forma, ch’io tra l’altro non son atta a giudicare. Ma il suo contenuto,
ricopiandola, ha suscitato i me un certo straniamento.
Lesse:
Qual diletto da queste carte,
ond’io al fioco lume
per lenir l’intime mie piaghe vo
traendo,
se poi inquieto s’abbandona l’animo
mio
vagheggiando un ben più giovevole fruire
di questo nobile sapere?
Sogno fu, quello, oppur visione?
Dire non so, or che il petto trema
ancora al suo ricordo.
Vidi non più fogli e ponderosi tomi,
non più cartacei documenti
ma lo scibil tutto antivedetti:
li pensieri antichi e quelli nuovi
che il mondo
ogn’or va visitando, offrirsi al
desioso intelletto
con novella forza inusitata.
E l’onirico nume, che visitar volle
la mia anima sopita,
mostrommi qual meraviglia fusse
lo pigiare un tasto e riveder con
luminoso arredo
offrirsi agli occhi miei tristi e
affaticati
ogni nozione
ogni opera dell’italiche lettere e
straniere
con prodigiosa improntitudine e
gaiezza.
(3 novembre 1817 – notte)
Le parole risuonarono per un lungo momento nel silenzio della stanza
fiocamente illuminata.
- Versi davvero singolari… direi astrusi – fece Monaldo, lasciandosi
sfuggire un sospiro.
- Come possono esserlo tutti quelli che
parlano di sogni.
- Già, egli stesso lo dice. Com’era scritto?
- “Fu sogno, quello, oppur visione”? – rilesse Adelaide.
Il conte si passò una mano sul mento e guardò la moglie con sguardo
pensieroso. – Il nostro Giacomo forse è affaticato da tanto studio. Ma proprio
per questo dovrebbe dedicare il tempo libero a qualche passeggiata per le vie
di Recanati o pei campi, che ora si tingon di gai colori, ancor non spogli e
stretti nella morsa del gelo. Dedicarsi invece a codesti passatempi letterari
affatica il cervello, che dovrebbe avere, invece, utile ristoro.
- Tanto più – lo incalzò la moglie – che simili fantasie sono alquanto
dispersive per l’animo, tanto più per quello del nostro figliolo, così sensibile.
Se invece di scrivere stupidaggini, orientasse la mente e il cuore alla
preghiera, andasse più assiduamente alle sacre funzioni, ricaverebbe maggior
giovamento per la salute sua del corpo, dell’anima e della mente.
Ci fu un breve silenzio. Attraverso i vetri baluginava il chiarore
residuo del cielo occidentale. Poi il conte Monaldo disse:
- Gli parlerò, ma senza alludere a codesta strana e, lasciatemelo dire,
insulsa composizione.
- Certo – approvò Adelaide, - tanto più che il sospetto che io abbia
rovistato fra le sue carte renderebbe me colpevole di insana curiosità ai suoi
occhi. Il che, per una madre premurosa, mi sembra ingiusto. – Quindi si alzò e
andò a tirare il cordoncino per chiamare la domestica.
La quale prontamente arrivò.
- Questa sera – ordinò la signora – mangeremmo volentieri, come dessert,
due caldarroste con un bicchierino di vin santo. Veniva dal cortile un buon
profumino, poc’anzi. Non è vero, caro marito?
- Certo, Adelaide, certo… - mormorò Monaldo soprappensiero.
Nessun commento:
Posta un commento