Al Salone internazionale del libro di Torino una moltitudine di gente ha affollato gli stand degli editori
che, a centinaia, hanno occupato il Lingotto Fiere. Stand grandi e piccoli,
allineati geometricamente secondo un ordine ben preciso. I più visibili e
centrali erano i grandi editori: Feltrinelli, Mondadori, Rizzoli, Einaudi,
Bompiani, Adelphi, Sellerio, poi venivano gli editori importanti e più di
nicchia come Fandango, Minimum Fax, Marcos y Marcos, Neri Pozza, Bao,
Marsiglio, ai margini i piccoli e i piccolissimi.
«È la Gardaland dei
libri» ha sospirato una mia giovane amica che ha appena finito un master per
diventare editor.
“Vero” ho
pensato senza dirlo. Prima di esprimere un’opinione volevo entrare nel vivo
della Fiera. Ci sono stato tre giorni: giovedì, venerdì, sabato. Ho curiosato e
acquistato libri e con il pass da giornalista mi sono spinto fino alla Ibf, business area, dove le agenzie
letterarie e gli editori di molti Paesi stipulavano nuovi contratti.
«Questa fiera
è sempre più un carrozzone, messo insieme solo per fare soldi. Perché fanno
pagare il biglietto d’ingresso? E perché la gente compra i libri dei grandi
editori, quando potrebbe comprare gli stessi libri sotto casa?» Queste
lapidarie considerazioni, che mi sono state rivolte da un responsabile
editoriale di una piccola casa editrice, hanno da subito ridimensionato
quell'euforia che rischiava di accecarmi. Eppure, stando ai giornali,
quest’anno, il Salone internazionale del libro di Torino ha dovuto fare i conti
con molte difficoltà economiche, per questo motivo è stata anche una delle
edizioni con più inventiva. Sempre stando ai media, sembra che persino Ernesto
Ferrero, direttore della Fiera, abbia lavorato gratuitamente.
Ho visto le
file gonfiarsi come torrenti davanti all'ingresso della sale che avrebbero
ospitato le conferenze di autori e intellettuali internazionali; file appena
più grandi di quelle davanti ai bagni e ai chioschi della pizza al trancio e
degli hot-dog. Mi sono sfilati a pochi passi: Alberto Angela, Pippo Baudo,
Giovanni Allevi, David Riondino… Zerocalcare, allo stand dell’editore che ha
pubblicato Kobane Calling, tra un
firma copia e l’altro, messaggiava con lo smartphone: però forse aveva qualcosa
di importante da comunicare.
.Ho seguito
eventi professionali: quello della Kindle di Amazon che vorrebbe pubblicare in e-pub tutti i libri messi sul mercato italiano. Nel 2007, in
Italia, Kindle poteva commercializzare 16.000 titoli, oggi ne vende 125.000.
Numeri che sono cresciuti in maniera esponenziale, eppure il libro digitale non
è in grado, e probabilmente non lo sarà per molto tempo ancora, di soppiantare
il libro di carta.
Ho assistito
all'incontro con Boualem Sansal, scrittore algerino che ha pubblicato l’anno
scorso con Galimard un romanzo distopico che ha fatto molto discutere e che
Neri Pozza ha portato in Italia e presentato proprio al Salone del libro. Il
romanzo è 2084 la fine del mondo.
L’evidente richiamo a quel 1984 di
Orwell non è per niente casuale. Boualem, difensore della laicità e della
libertà di pensiero, ha scritto un romanzo nel quale il suo protagonista cerca
disperatamente di fuggire da una feroce teocrazia totalitaria che ha preso il
sopravvento e che ha annichilito l’uomo fino a ridurlo a un essere privo di
coscienza critica. Accusato di islamofobia, Boualem tira dritto per la sua
strada e non sembra curarsi del rischio che ciò che dice possa essere
strumentalizzato.
Mi è capitato
poi di passare davanti al padiglione Rai dove stavano registrando una puntata
di Pane quotidiano e di intravedere
Concita De Gregorio che intervistava il premio Nobel per la pace Shirin Ebadi
che ha pubblicato per Bompiani Finché non saremo liberi, con lei anche il saggista Enzo Bianchi fondatore della
comunità monastica di Bose.
Il ministro
della Giustizia Andrea Orlando è stato invece ospite dell’incontro in cui il
professor Isaia Sales ha presentato il suo ultimo lavoro intitolato Storia dell’Italia mafiosa – perché le mafiehanno avuto successo. Libro pubblicato da Rubettino. Relatore l’ex
magistrato Gian Carlo Caselli.
«Le mafie
hanno capito che non devono attaccare frontalmente lo Stato, perché la Storia
ha dimostrato che ogni volta che ci si mette contro la classe dirigente si è
sconfitti. Nel mio paese, quando ero bambino, un parlamentare ha fatto
affiggere un manifesto funebre con la scritta “Se n’è andato un grande uomo” e il
vescovo ha celebrato il funerale di questo grande uomo. Mio padre mi diceva che
quell’uomo aveva ucciso delle persone e io mi chiedevo: ma come è possibile che
un uomo che ha ucciso venga celebrato così?» Sono bastate queste parole dell’autore
per riassumere il messaggio di un saggio ricco di informazioni e scritto con un
linguaggio scorrevole.
Mentre mi
accingevo a uscire dal Salone, Roberto Saviano si chiudeva nella sala gialla
assediata dalla folla per raccontare i dieci anni di Gomorra. Lui entrava a parlare del tanto che ha fatto con un libro
le cui vendite iniziali non erano state esaltanti, ma che poi i lettori hanno
consacrato all'Olimpo dei libri più venduti nel decennio, e io uscivo dal
Salone di Torino col poco che ho visto e il desiderio di vedere e sentire
ancora.
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