mercoledì 16 aprile 2014

LA LINEA

L’ordine perentorio e cattivo era di non oltrepassare la striscia bianca di calcina. Il sole sfiorava lo zenit e scottava. Il fondo del campo di calcio, dove gli uomini erano stati riuniti, tremolava acquoso. Una voce metallica, sputata da un altoparlante, aveva inchiodato tutti quanti al loro posto. La linea che non doveva essere assolutamente varcata era l’unica rimasta sul terreno di gioco, le altre, quelle che delimitavano le aree di rigore e le linee laterali erano state inghiottite dalla polvere. Incolume era rimasto solo il centrocampo.

Una delle porte non aveva più la rete, ma pali e traversa erano ancora al loro posto, l’altra porta, invece, era rovinata al suolo contorta su se stessa. Assomigliava ad un gigantesco ragno aggrovigliato in una ragnatela di corde.
Gli uomini schierati sulla linea bianca erano esausti. Già da un paio d’ore erano costretti a stare in piedi, immobili, sotto la canicola. Molti avevano gli occhi velati da un languore demente segno che non sarebbero resistiti a lungo senza un provvidenziale soccorso.
Un vecchio si lasciò cadere, ma fu sorretto da un ragazzo e da un altro uomo che lo incoraggiarono a resistere. Sulle tribune, deserte, fischiava un vento che non avrebbe dovuto esserci in una giornata soleggiata. La desolazione era totale. Uno striscione, lacero, era mezzo appeso alla balaustra che divideva il primo ordine di gradinate dal secondo, frusciava penosamente. Sugli spalti non si vedeva nessuno, eppure i confinati non osavano fare un solo passo. Rimanevano inchiodati dov’erano.
Quei miserabili erano persone comuni: impiegati di banca, studenti, avvocati, operai. Gente vestita in doppio petto griffato, o con tute da lavoro sudice. C'era persino un uomo in livrea da portiere d’’hotel. Erano uomini grassi, magri, in ottima forma, denutriti che si vedevano le ossa uscire dagli stracci sdruciti. Tutti quanti, a dispetto del loro diverso apparire, avevano compreso che quella linea, a quel punto, rappresentava un confine.
Come erano finite quelle persone di ogni età e status su quell’esile tracciato? Nessuno era in grado di fornirne una spiegazione razionale. Erano lì, senza potersi muovere, costretti ad obbedire ad un ordine di cose invisibile quanto incomprensibile. La sera prima s’erano tutti addormentati nel proprio letto, il risveglio era però stato traumatico.
Ovunque, a parte le rare incursioni della voce metallica, regnava un pauroso silenzio, rotto soltanto dal lamento sommesso di qualche sfortunato che proprio non reggeva più la tensione e la fatica.
Il cielo era offuscato dall’afa e da poche nuvole che si muovevano lente sopra le teste disperate di quella miseria umana. Non un uccello, niente che sorvolasse lo spazio aereo, forse dominio di fantasmi.
Una donna, l’unica, che indossava un abito a fiori e che portava con sé una grande borsa di paglia dalla quale uscivano mazzi di prezzemolo e basilico e gambi di sedano, s’avvicinò lentamente al vecchio che stava di nuovo per crollare. Mezzo secolo prima, la donna, era stata una sposa bellissima. Proprio in quel momento veniva dal mercato della piazza.
«Maria…Maria…Maria!» grido il vecchio. Poi cadde per non rialzarsi più.
«Fatelo scivolare oltre la linea» ordinò la voce metallica.
Il ragazzo, con le lacrime agli occhi sollevò il corpo del vecchio e con estrema delicatezza lo fece rotolare al di là della striscia bianca. L’anziano ebbe un fremito, si destò, poi andò incontro alla donna. Le prese la mano e insieme a lei si allontanò verso l’ingresso degli spogliatoi, ma nessuno poté vederlo, ciò che invece vedevano tutti era soltanto un mucchietto di stracci abbandonato oltre la linea bianca di calcina.

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