Erano
molte le probabilità di incontrare una biscia. Eppure, fino a quel momento, a Giuseppe
non era capitato.
Dopo un giugno capriccioso, con
quell’alternanza di periodi torridi e umide rinfrescate, la vegetazione era
diventata lussureggiante. Ma la maturazione dell’uva procedeva un po’ a
rilento. Nonno Celso diceva che “il pittore” era pigro nel passare fra i filari
a colorare gli acini. Adesso era luglio, le giornate stabilmente calde e
soleggiate.
– Non ce ne sono di bisce, qua intorno –
lo rassicurava il nonno, mentre strappava le erbacce sui terrazzamenti del
vigneto. Eppure Giuseppe, ossessionato dall’idea di imbattersi in una di quelle
creature striscianti, voleva avere delle certezze. Le parole del nonno non lo
tranquillizzavano del tutto, perché erano in contrasto con quelle di Dante, il
figlio dello zio Alfonso. Dante era un ragazzo di diciassette anni, alto e
magro, capelli neri che portava con un ciuffo alla moda. Stava spesso a torso
nudo, indossando blue-jeans aderenti
e scoloriti. Si atteggiava a teddy-boy.
Doveva essersi accorto delle paure di Giuseppe, e così si divertiva a
stuzzicarlo.