lunedì 17 ottobre 2016

URANIA n°436

Con questo racconto, Giuseppe Novellino ha voluto omaggiare una celebre collana editoriale che dal 1954 si occupa di fantascienza. I libri non sono sempre dei "mattoni" illeggibili come le dispense di Storia Romana, alle volte sono gustosi come gelati e sbrindellati come chi li legge. 

     
Enzo buttò il libretto sul sedile vuoto, accanto a me. Era seduto di fronte. Ci eravamo entrambi accomodati sul lato del finestrino.
     – L’hai già letto? – Mi sembrava incredibile. 
     Il mio amico fece un cenno con il capo e ammiccò.
     Il treno procedeva a settanta chilometri orari, con il suo monotono sferragliare, sulle curve del lago di Como. Presto avrebbe raggiunto la stazione di Colico. Enzo sarebbe sceso ed io avrei continuato il mio viaggio fino a Sondrio.
     – Ti è piaciuto?
     – Forte.
     Lo guardai di sottecchi. Lui si stava accendendo una sigaretta: la quinta o la sesta da quando avevamo lasciato la Stazione Centrale di Milano. Emise una lunga scia di fumo e lanciò un’occhiata fuori dal finestrino.
     – Di cosa parla? – domandai, per metterlo alla prova.
     – Non l’hai ancora letto?
     – No – mentii. Invece lo avevo letto tre anni prima. Mi aveva molto impressionato, mi era rimasto scolpito nella memoria.
    Lui corrugò la fronte, aspirò ancora dalla sigaretta e disse laconico: – Di strane creature che vengono dall’ignoto.
     Le sue parole non provavano nulla. Tutti l’avrebbero colto quel contenuto, anche solo dando un’occhiata al disegno di copertina, dove si vedeva una giovane donna seminuda (probabilmente mentre si stava asciugando in bagno), aggredita da una informe sostanza verdastra vomitata dallo scarico. Rimaneva il mistero di come fosse riuscito, Enzo, a leggerlo in poco più di un’ora. Centocinquanta pagine fitte fitte, con le parole disposte su duplice colonna, tipico di Urania. Quello era il n°436, e non faceva eccezione.

     Enzo l’aveva materializzato dalla sua borsa, mentre attendavamo la partenza del convoglio e ci scambiavamo alcune parole di saluto. Evidentemente glielo aveva prestato, o venduto, qualcuno. Era in uno stato a dir poco pietoso, forse perché era passato tra le mani di tanti lettori.
     Arrivavamo entrambi dalla Cattolica, ma ci eravamo incontrati solo in stazione. Lui tornava da una semplice puntatina in segreteria; io ero reduce dall’esame di storia romana. Mi era andato bene, anzi benissimo, un trenta senza lode. Ma la mia soddisfazione non toccava le stelle. La professoressa, infatti, era un tipo a mio avviso un po’ sbarellato: metteva bei voti ai maschietti, anche se non erano molto preparati, e segava sistematicamente le femmine, se non sapevano tutto alla perfezione. E poi era un esame facile, principalmente basato sui retroscena della scostumata famiglia Giulio-Claudia. Ben altra cosa era l’esame che mi aspettava da lì a quindici giorni: Pedagogia 2. Un vero scoglio. Per questo, durante quel viaggio di rientro a casa, mi ero messo a leggere una delle due dispense su cui ero indietro: un mattone di trecentoventi pagine.
     Il mio amico Enzo, invece, si era immerso nella lettura di un vecchio numero di Urania. Per tutta quella parte del viaggio non aveva alzato gli occhi dal libretto. Girava le pagine con sorprendente rapidità, ogni tanto estraeva una sigaretta e l’accendeva senza interrompere la lettura. Niente lo aveva distratto, né il dondolio del convoglio, né il vociare degli altri passeggeri, che nel tratto tra Milano e Lecco erano assai numerosi.
     Io non avevo osato interromperlo. Avevo cercato continuamente di concentrarmi sulla dispensa del professor Agazzi, ma senza il minimo successo. E non sapevo se a distrarmi era la gente che affollava la carrozza, oppure il mio amico Enzo, che mi sembrava quasi irreale nella sua rapidità di lettura.

     Adesso mancavano non più di cinque minuti a Colico. Il viaggio di Enzo stava per finire. Ed io volevo sapere quanto fosse riuscito a capire con una lettura a dir poco supersonica. Non potevo fargli la domanda, così, direttamente, come l’avrebbe fatta un insegnante all’alunno negligente. Quindi, come per sondare il terreno, dissi:
     – Deve essere una storia agghiacciante, a giudicare dalla copertina.
     Lui guardò l’orologio. Poi afferrò il libretto e fece per rimetterlo nella borsa. – Vuoi leggerlo?
    Ebbi l’impressione che non avesse colto le mie ultime parole.
     – Ne vale la pena? – domandai a mia volta.
     – Direi di sì. – Rimase con l’opuscoletto nella mano. Se vuoi te lo regalo. – Me lo porse. – Sai, io non faccio collezione. Di Urania ne leggo tanti, ma poi li dimentico. Mi piacciono un casino… Per me è come mangiare un gelato. Una volta consumato, non c’è più, anche se ti lascia per un momento un buon sapore in bocca.
     – Allora l’hai già dimenticato.
     – Ma cosa dici? No, che non l’ho dimenticato. Ma domani o dopodomani non so cosa mi ricorderò. Lo vuoi o non lo vuoi?
     Dovevo essere coerente con la mia precedente dichiarazione di non averlo mai letto, e poi non potevo smentire la mia grande passione per la fantascienza; quindi dissi:
     – Grazie, lo leggerò. – E lo afferrai.
     Lui guardò fuori dal finestrino e si preparò a lasciare il suo posto. Il treno stava rallentando.
     – Allora, di che cosa tratta? – feci, prima che mi sfuggisse come un’anguilla.
     Si alzò in piedi. – In buona sintesi. Siamo in un villaggio inglese. Una strana barriera si forma intorno a esso. La gente che si avvicina comincia a morire. E poi, all’interno del paese, nascono trenta bambini e trenta bambine. Apparentemente crescono come tutti gli esseri umani… Ma poi ci si accorge che in loro c’è qualcosa di strano. – Il treno intanto si era fermato. – Oh, scusami, devo andare. Ma leggi, leggi. È una bomba. Ciao.
     Rimasi di stucco e non riuscii nemmeno a salutarlo. Che avesse capito proprio nulla non me lo aspettavo. Mi aveva buttato lì la trama di un altro libro di fantascienza. Da buon esperto del genere, l’avevo riconosciuto: si trattava del mitico “I figli dell’invasione” di John Windham. Mi sentivo preso in giro. Avevo pensato che mi spiattellasse qualcosa d’incompleto e incoerente su “Dalle fogne di Chicago”, invece mi aveva sintetizzato tutt’altra storia. Che avesse capito la mia curiosità nei confronti del suo veloce modo di leggere e mi avesse voluto menare per il naso?
     Guardai il libretto che tenevo fra le mani. La copertina era proprio logora, faceva quasi schifo, ma era quella del n° 436. Aprii il volumetto alla prima pagina… e rimasi di stucco.
     Campeggiava il titolo “I figli dell’invasione”.
     Impiegai un po’ ad accorgermi che quella non era la copertina del libro in questione. Era stata applicata con un groviglio di carta gommata. Probabilmente, passando di mano in mano, quel vecchio numero di Urania aveva perso la copertina originaria e qualcuno, forse lo stesso Enzo, l’aveva sostituita con quell’altra, per tenere insieme le pagine.
     Allora non riuscii a trattenermi e mi misi a ridere. Non solo il mistero circa il modo di leggere del mio amico rimaneva, ma se ne aggiungeva un altro.
     – Che fine avranno fatto – sussurrai – le pagine del n° 436 di Urania?

   
    

     
  


giovedì 13 ottobre 2016

Premio Nazionale di Narrativa “DONNA IERI, DONNA OGGI, DONNA MUSA”

Comunicato stampa

L’Associazione Culturale CLIO*, Cultura, Libri, Idee, Opportunità lancia la prima edizione del Premio Nazionale di Narrativa “DONNA IERI, DONNA OGGI, DONNA MUSA”. Il concorso è riservato ad autrici e autori, esordienti e noti, di qualsiasi nazionalità, che presentino un romanzo breve scritto in lingua italiana il quale sviluppi tematiche femminili e mette in palio la pubblicazione e l’inserimento a catalogo a cura dell’editore nazionale Fefè – Roma.

Le opere concorrenti devono rispettare una lunghezza di 140.000/150.000 battute, spazi inclusi, e devono essere rigorosamente inedite.

“Il nostro Premio si differenzia dai numerosi concorsi esistenti perché offre la possibilità di vincere una pubblicazione vera, da parte di un editore serio (io personalmente l’ho già sperimentato con successo) il quale includerà il libro nel proprio catalogo; quindi chi vince può, anzi, deve considerarsi uno scrittore vero, scelto da una giuria autorevole. E questa è un’occasione rara, direi”, spiega Loredana Limone, scrittrice, socia onoraria di CLIO, che scriverà anche la prefazione del romanzo vincitore.

“L’associazione lavora sul ruolo della donna, sul contrasto alla violenza di genere, sull’empowerment femminile necessario a superare le discriminazioni di cui, ancora oggi, siamo vittime. Crediamo però nella grande capacità delle donne di riprendere le redini della propria vita magari anche attraverso la scrittura e quindi la condivisione– spiega la presidente di Clio, Paola Malcangio.

La Giuria sarà composta da Paola Malcangio, presidente C.L.I.O.; Leonardo de Sanctis, editore; Laura Bonalumi, scrittrice; Lello Gurrado, scrittore; Monica Autunno, giornalista.


*CLIO è una giovane associazione culturale (nata nel gennaio 2016) costituita prevalentemente da donne che condividono la passione per la lettura e si impegnano nella promozione delle pari opportunità attraverso la cultura.
L’associazione porta il nome di CLIO, la musa della storia e della poesia spesso raffigurata con un libro in mano. Tra le iniziative di spicco di CLIO figura il BookFestivalBar, una rassegna letteraria organizzata nei bar di Cernusco sul Naviglio (Mi), di Aversa (Ce), di Milano (all’interno di Bookcity 2016) e con richieste da parte di numerosi comuni.

Ulteriori informazioni sul sito www.clioassociazione.it

mercoledì 5 ottobre 2016

Il club dei filosofi dilettanti di Alexander McCall Smith: il primo caso di Isabel Dalhousie

Recensione 
di
 Paola Rocco

Mi piacerebbe iniziare questo percorso tra quelli che io definisco giallisti atipici con Il club dei filosofi dilettanti di AlexanderMcCall Smith. Il club è il primo della serie investigativa con al centro Isabel Dalhousie, fascinosa filosofa ultraquarantenne, personaggio riservato ma interessante della scena culturale edimburghese e zia dell'irrequieta Cat.
Isabel dirige una rivista di etica applicata e suo malgrado si trova spesso coinvolta in casi un po' misteriosi: forse perché l'autore concorda con la Christie nel ritenere che alcune persone siano dei catalizzatori di eventi e così come chi ha una predisposizione naturale per le catastrofi potrà passare tutta la vita all'asciutto, ma appena metterà piede su una barchetta farà naufragio, chi è naturalmente portato a investigare fatalmente investigherà.
Così fa appunto Isabel, che però è anche e forse prima di tutto una filosofa e dunque porta nella sua ricerca i ferri del mestiere: il senso di responsabilità, l'etica della vicinanza, l'onestà intellettuale e l'attenzione per la personalità e l'esistenza altrui. Partendo da queste premesse McCall Smith - che è nato e cresciuto in Zimbabwe prima di completare gli studi in Scozia, dov'è professore di Medicina legale all'Università di Edimburgo e vicepresidente della commissione inglese per la genetica, oltre che scrittore di gialli e creatore di tre serie di mistery: anche lui una doppia vita, come la sua filosofa investigatrice - costruisce una storia a un tempo ossessionante e lieve con al centro la morte d'un ragazzo, che precipita dalla balconata del Teatro dell'Opera di Edimburgo davanti agli occhi di Isabel.
Omicidio, disgrazia o suicidio: la protagonista vaglia le possibilità incontrando amici e conoscenti, frequentando caffè e mostre d'arte, cucinando risotto e insalata, correggendo articoli e saggi e sorvegliando le mosse di compare Volpone, la volpe selvatica che ha inaspettatamente preso dimora nel suo giardino.
E soprattutto applicando al mondo e alle cose la lente d'ingrandimento della propria coscienza morale, che la guiderà verso una soluzione atipica imperniata sull'etica del perdono: “Gli studi dei filosofi si incentrano su problemi di questa natura, rifletté Isabel. Il perdono è un argomento che li appassiona, così come il castigo. Bisogna punire i colpevoli, non perché faccia sentire meglio - alla fine ci si sente su per giù come prima - ma per ristabilire un equilibrio morale. È una dichiarazione di condanna dell'errore, che ci aiuta a mantenere un senso di giustizia nel mondo. Ma in un mondo giusto vanno puniti solo coloro che hanno intenzioni malvagie e che agiscono con cattiveria”.
Sullo sfondo una Edimburgo scintillante e misteriosa, insostituibile teatro di tutte le storie come la New York di Allen o la Roma di Moravia (“...viveva al primo piano di un bel palazzo georgiano di Great King Street. Era una delle vie più belle della New Town, e dal suo lato, quello a sud, si aveva una splendida vista sul Firth of Forth... si vedeva la striscia di mare blu e oltre l'acqua sorgevano le colline del Fife... Erano appartamenti definiti con salone, perché comprendevano la sala principale delle antiche case, che erano state suddivise. Avevano, perciò, soffitti più alti e finestre a parete, grandi vetrate da cui la luce inondava le stanze”).
E c'è poi il costante contrappunto d'una serie di riuscitissimi personaggi minori: Cat, la bella nipote della protagonista, proprietaria d'una ricercata gastronomia nel cuore della città e fidanzata seriale di uomini sbagliati; la governante Grace con la sua inscalfibile saggezza e l'insospettabile passione per l'esoterismo; Jamie dal cuore spezzato e dal bell'aspetto, il ragazzo d'oro che Cat ha scaricato con stupefatto disappunto della zia; Toby coi suoi pantaloni color fragola e la sua conoscenza dei vini, l'arrogante rampollo della ricca borghesia mercantile che la ragazza frequenta al momento e Isabel trova, naturalmente, insopportabile; e molti altri - tra cui indimenticabile resta la fuggevole apparizione di Geoffrey McManus, il giornalista che vuol strappare alla Dalhousie delle dichiarazioni su quel che è avvenuto e di fronte al rifiuto di lei trapassa in modo repentino e sinistro dalla formale cortesia dell'entrata alle battute francamente insultanti e velatamente canzonatorie dell'uscita.

Un'altra delle cose che mi piacciono moltissimo di questi libri, e so che apparentemente non è molto pertinente... ma, appunto, solo apparentemente, sono le meravigliose copertine dell'edizione economica della TEA, la casa editrice che ha pubblicato quest'autore in Italia. A differenza di quelle delle prime edizioni, infatti, che io personalmente trovo un po' respingenti, quelle firmate dalla magnifica disegnatrice Hannah Firmin per l'economica sono davvero belle e genialmente allusive del contenuto sì da diventar in qualche modo un artistico complemento del libro stesso come ogni buona copertina dovrebbe sforzarsi di fare appena possibile.

In questa del Club campeggiano una caffettiera e relativa tazzina con una decorazione dipinta sopra che ricorda i palchi d'un teatro - alla base della caffettiera c'è pure la silhouette di una cantante in gonna e crinolina - e una lente d'ingrandimento in primo piano. Bevande e vasellame vario ispirano tutte le copertine della serie (dal bicchiere alto colmo di cioccolata scura e sormontato da una ricciolo di panna di Amici, amanti e cioccolato alla teiera di ceramica rossa osservata con sospetto da compare Volpone nelle Pratiche applicazioni di un dilemma filosofico... anche i titoli sono abbastanza atipici) in omaggio alla radicata abitudine degli scozzesi e dell'Inghilterra in generale di sedersi a riflettere davanti a una buona tazza di qualcosa di caldo non appena il clima lo consente - e cioè quasi sempre, in pratica. Un ultimo tocco di fascino a una storia già molto interessante.

sabato 1 ottobre 2016

Recensione del libro "La Curva".

Recensione di Giuseppe Novellino

Pasquale Gallicchio, irpino, è un giornalista professionista. Sensibile alla politica, ha partecipato a molte battaglie per la promozione dei diritti, per il progresso sociale e per la difesa dell’ambiente. E scrive. Ha pubblicato un romanzo, “Terra”, alcuni saggi d’impegno civile, tra cui “La Terra è fatta così”, in collaborazione con il regista Gianni Amelio, e “L’occupazione delle Terre in Alta Irpinia”, con la prefazione di Sergio Cofferati.
     La sua ultima fatica letteraria è questo libricino di narrativa e fotografia: “La Curva”.
     Si tratta di tredici brevi racconti alternati da suggestive fotografie di Giuseppe Formiglio, fotografo e allievo di pittura presso l’Accademia delle Belle Arti di Foggia.
     Le prose hanno come prevalente ambientazione l’Alta Irpinia, in particolare il Piano del Formicoso, situato nelle vicinanze del paese (Bisaccia) che ospita l’autore e che rappresenta la sua culla. È una contrada appenninica molto suggestiva, coltivata prevalentemente a grano, dove il vento la fa da padrone e accarezza morbidi crinali. I campi sono interrotti da macchie boscose, da ginestre e da grigie rocce tufacee.
    Qui egli ha trascorso l’infanzia e la giovinezza, qui tuttora vive, rifugiandovisi dopo lunghi e buoni tempi trascorsi tra lavoro e impegni. E alla sua terra si ispira, cercando di rievocare, con le parole, atmosfere, luoghi, ma soprattutto persone. Queste ultime emergono quasi sempre dal passato come testimoni di tempi ormai trascorsi, aventi il sapore delle ere antiche.
     Sono narrazioni dalla prosa scorrevole, ma ricercata e a tratti lirica, dove la cura delle parole, e soprattutto degli aggettivi, è attenta e, direi, premurosa. Con rapide pennellate, l’autore ritrae figure e anima ambienti, producendo effetti visivi davvero notevoli. Fa molto uso di frasi tronche, così la pagina acquista uno spessore poetico e produce nel lettore quell’effetto di piacere estetico che si può incontrare nella lettura dei versi.
     Il titolo allude a quei cambiamenti di direzione che si verificano nella vita di ciascun individuo. A volte si svolta nel bene, a volte nel male; spesso si cade nella sofferenza, in altri frangenti si salgono le scale della consolazione e della speranza. È la vita, un flusso che non scorre lineare, ma che promette continui cambiamenti e segue un percorso necessariamente tortuoso. Non può essere altrimenti. E questo, forse è il suo bello.

     Una lettura per coloro che amano fermarsi a riflettere e che desiderino, perché no, entrare nelle atmosfere di un angolo d’Italia sempre un po’ dimenticato, ma ricco di storia e di umanità.

"La Curva" è pubblicato 
   
    L'autore Pasquale Gallicchio