sabato 16 gennaio 2016

Revenant, dalla carta alla celluloide.

Con un tempismo perfetto Giuseppe Novellino ci propone la recensione del libro di Michael Punke, "Revenant", edito, nella versione italiana, da Einaudi. Non è un caso se propone questa recensione proprio oggi, 16 gennaio 2016. Oggi, infatti, in molte sale cinematografiche della nostra penisola esce anche l'omonimo e atteso film diretto dal regista Alejandro Gonzalez Inarritu e interpretato magistralmente dall'attore Leonardo DiCaprio, nonché vincitore dei Golden Globes.


Recensione 
di Giuseppe Novellino

REVENANT
di Michael Punke


Una storia all’aria aperta: tanto che, alla fine della lettura, ti senti la faccia arrossata e screpolata, come dopo una giornata trascorsa in montagna. E oltretutto fai fatica ad abbandonare la sensazione di esserne uscito vivo per miracolo.
Al di là dell’iperbole sull’identificazione di chi legge, il racconto di Michael Punke esercita una forte attrazione e riesce davvero a coinvolgere. Lo scenario è quello delle immense distese del South e North Dakota e del Wyoming, lungo l’alto corso del Missouri, tra pianure sconfinate dove pascolavano numerose mandrie di bisonti, ruscelli gorgoglianti, macchie di pini svettanti  e rocce biancastre rivestite di aspra vegetazione. Insomma, è la terra sei Sioux, degli Arikara, dei Crow, degli Araphao e degli Cheyenne: uno de teatri più classici dell’epopea western.

È la storia vera, ma un po’ romanzata, di Hugh Glass e di come consumò la sua vendetta. Lui è un trapper (cacciatore e trafficante di pelli), originario dell’East Coast con dei trascorsi nella marina mercantile dei nuovi Stati Uniti d’America. Si è messo al seguito di un gruppo di suoi simili per una missione di caccia lungo le rive del Missouri e del Grand (suo affluente), per conto della Rocky Mountain Fur Company, organizzata e diretta da William H. Ashley. Scopo secondario della spedizione è quello di dare un contributo alla ricerca di un passaggio tra le Montagne Rocciose, così da consentire un più agevole e terrestre collegamento fra gli stati dell’Est e la California.

Siamo nella tarda estate del 1823. La cosiddetta pista dell’Oregon non è stata ancora aperta e il pionierismo è  nella sua prima giovinezza. Sulle rive del Grand, Hugh Glass viene assalito da un grizzly e rimane orrendamente ferito. Così i compagni, non potendo portarselo appresso per il resto del viaggio, decidono di affidarlo a due di loro perché lo assistano nella sua agonia e gli diano una degna e cristiana sepoltura. Solo che uno dei due, certo John Fitzgerald, è un balordo di primo pelo. Convince il giovane Jim Bridger ad abbandonare Glass dopo averlo spogliato di tutto il necessario per sopravvivere, compreso l’ottimo fucile Anstadt. Così, al povero ferito non rimane altro che affidarsi alla fortuna, ma soprattutto alla tenacia e alla voglia di sopravvivere. Comincia un’odissea fra stenti e incredibili sofferenze. Si ciberà di carne cruda sottratta ai lupi e di bacche, dovrà evitare sgradevoli incontri con serpenti a sonagli e altri animali pericolosi, ma soprattutto dovrà stare alla larga dai temibili Arikara, da molto tempo sul piede di guerra contro gli esploratori bianchi e i militari che costruiscono nuovi avamposti tra il Missouri e le Montagne Rocciose.
Finalmente raggiunge Fort Brazeau e si organizza per consumare la sua vendetta. Quello che segue è il resoconto di altre pericolose avventure in terre selvagge, mentre cala l’inverno e i monti e le pianure si coprono di neve. Ma non possiamo raccontarlo.

L’opera si legge d’un fiato e lascia la netta sensazione di avere provato in qualche modo quei disagi e quei pericoli. Con una prosa funzionale, resa efficace da una accurata traduzione, l’autore fa rivivere una delle stagioni dell’epopea western, quando i territori dell’Ovest non avevano ancora subito le trasformazioni e le violazioni attuate dai bianchi. Ma il libro è anche un’occasione per esplorare l’animo umano, per indagare sulle sue possibilità di sopravvivenza in una terra ostile, sulla vita e sulla morte. In effetti il vecchio West può essere considerato un laboratorio dove l’uomo ha potuto confrontarsi con se stesso e con una natura matrigna che non concede sconti. 
Una  costruttiva e piacevole lettura, non solo per gli appassionati del genere western.


Leonardo DiCaprio in una scena del film Revenant


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