Con un tempismo perfetto Giuseppe Novellino ci propone la recensione del libro di Michael Punke, "Revenant", edito, nella versione italiana, da Einaudi. Non è un caso se propone questa recensione proprio oggi, 16 gennaio 2016. Oggi, infatti, in molte sale cinematografiche della nostra penisola esce anche l'omonimo e atteso film diretto dal regista Alejandro Gonzalez Inarritu e interpretato magistralmente dall'attore Leonardo DiCaprio, nonché vincitore dei Golden Globes.
di
Michael Punke
Una storia all’aria aperta: tanto
che, alla fine della lettura, ti senti la faccia arrossata e screpolata, come
dopo una giornata trascorsa in montagna. E oltretutto fai fatica ad abbandonare
la sensazione di esserne uscito vivo per miracolo.
Al di là dell’iperbole sull’identificazione
di chi legge, il racconto di Michael Punke esercita una forte attrazione e
riesce davvero a coinvolgere. Lo scenario è quello delle immense distese del
South e North Dakota e del Wyoming, lungo l’alto corso del Missouri, tra
pianure sconfinate dove pascolavano numerose mandrie di bisonti, ruscelli
gorgoglianti, macchie di pini svettanti
e rocce biancastre rivestite di aspra vegetazione. Insomma, è la terra
sei Sioux, degli Arikara, dei Crow, degli Araphao e degli Cheyenne: uno de
teatri più classici dell’epopea western.
Siamo nella tarda estate del 1823. La cosiddetta
pista dell’Oregon non è stata ancora aperta e il pionierismo è nella sua prima giovinezza. Sulle rive del
Grand, Hugh Glass viene assalito da un grizzly e rimane orrendamente ferito.
Così i compagni, non potendo portarselo appresso per il resto del viaggio,
decidono di affidarlo a due di loro perché lo assistano nella sua agonia e gli
diano una degna e cristiana sepoltura. Solo che uno dei due, certo John
Fitzgerald, è un balordo di primo pelo. Convince il giovane Jim Bridger ad
abbandonare Glass dopo averlo spogliato di tutto il necessario per
sopravvivere, compreso l’ottimo fucile Anstadt. Così, al povero ferito non rimane
altro che affidarsi alla fortuna, ma soprattutto alla tenacia e alla voglia di
sopravvivere. Comincia un’odissea fra stenti e incredibili sofferenze. Si
ciberà di carne cruda sottratta ai lupi e di bacche, dovrà evitare sgradevoli
incontri con serpenti a sonagli e altri animali pericolosi, ma soprattutto
dovrà stare alla larga dai temibili Arikara, da molto tempo sul piede di guerra
contro gli esploratori bianchi e i militari che costruiscono nuovi avamposti
tra il Missouri e le Montagne Rocciose.
Finalmente
raggiunge Fort Brazeau e si organizza per consumare la sua vendetta. Quello che
segue è il resoconto di altre pericolose avventure in terre selvagge, mentre
cala l’inverno e i monti e le pianure si coprono di neve. Ma non possiamo raccontarlo.
L’opera
si legge d’un fiato e lascia la netta sensazione di avere provato in qualche
modo quei disagi e quei pericoli. Con una prosa funzionale, resa efficace da
una accurata traduzione, l’autore fa rivivere una delle stagioni dell’epopea
western, quando i territori dell’Ovest non avevano ancora subito le
trasformazioni e le violazioni attuate dai bianchi. Ma il libro è anche
un’occasione per esplorare l’animo umano, per indagare sulle sue possibilità di
sopravvivenza in una terra ostile, sulla vita e sulla morte. In effetti il
vecchio West può essere considerato un laboratorio dove l’uomo ha potuto
confrontarsi con se stesso e con una natura matrigna che non concede sconti.
Una
costruttiva e piacevole lettura, non
solo per gli appassionati del genere western.
Leonardo DiCaprio in una scena del film Revenant |
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