«Dai fermati
Lina, metti almeno a posto il manubrio e la sella altrimenti cadi di nuovo».
Lina, testarda,
non raddrizzò proprio niente. Mentre si allontanava mi chiesi come fosse
possibile andare in bicicletta a quel modo. Mi vennero in mente quei cagnolini
ammaestrati che si esibiscono nei circhi. Quando tornò, i croissant che aveva adagiato
nel cestino sgangherato erano ancora fumanti.
«I sogni non si
realizzano mai. Sapeste quante cose avrei voluto fare io e non sono riuscita a
concludere mai niente, ve ne accorgerete quando sarete più grandi» ci diceva
sempre. Era cinica e spietata, spesso vittima delle proprie ambizioni
frustrate. Un po’ la capivo e un po’ mi faceva incazzare. Mia madre ed io
eravamo sempre in battaglia l’uno contro l’altra.
«Sei identico a
tuo padre» mi gridava. E invece, a parte il fisico, io era come lei.
Amava leggere.
Leggeva di tutto. Soprattutto romanzi. Leggeva romanzi impegnati, ma divorava
anche gli Harmony. Colpa sua se mi intestardii con la letteratura. Da piccolo
leggevo di nascosto le riduzioni dei grandi romanzi d’autore che lei acquistava
non so dove.
Ricordo che lessi, tra quei libri, “I ragazzi
venuti dal Brasile” e lo “Squalo”, poi altro. Ok lo “Squalo” non è un romanzo d’autore
ma sugli scaffali aveva anche Dostojevski.
Mio padre era
sempre fuori casa per lavoro, rientrava solo il venerdì sera e il sabato
mattina era di nuovo in ditta per caricare il camion e ripartire la domenica
notte. L’educazione mia e di mio fratello era delegata alla donna di casa. Un
pomeriggio mentre c’eravamo messi a tavola per il the ricevemmo una telefonata.
Rispose mia madre. La sua fronte stretta s’increspò in un’infinità di rughe, i
suoi occhi scuri m’inchiodarono neanche fossero due puntatori laser. Annuiva e
mugugnava. Il biscotto mezzo inzuppato mi s’afflosciò sul cucchiaio e cadde
nella tazza, il mio umore aveva più o meno fatto la stessa fine. La telefonata
terminò e mia madre riappese il ricevitore.
«È successo
qualcosa questa mattina a scuola?»
«No mamma non è
successo nulla. Cosa dovrebbe essere successo?»
«Non lo so!
Dimmelo tu»
Silenzio di
tomba. Mi voltai verso mio fratello che aveva appena sei anni, se la rideva
lui. Non capiva ancora un cazzo, ma aveva gli stessi occhi furbi di mia madre.
«Avete mostrato
dei preservativi al supplente di Musica per caso?
Ecco cos’era.
Ovvio, che stupido. Si che glieli avevamo mostrati. Anzi li avevamo anche
gonfiati e lanciati per la classe. Beh! Mi sembrava potesse essere derubricato
a reato minore…evidentemente non tutti la pensavano così.
A chiamare mia
madre, rappresentante di classe in quell’anno di seconda media, era stata la
mamma della Morandi una mia compagna, figlia di un cardiologo che evidentemente
non aveva apprezzato lo show.
«Mamma – le
dissi - Credimi non sono stato io a rubarli in farmacia, sono stati gli altri».
Lei mi guardò
per un lunghissimo istante, poi scoppiò a ridere. La ricordo piegata in due
dalle risate e con le lacrime agli occhi. Mio fratello che continuava a non
capire un cazzo si mise a ridere come un pazzo anche lui. Si sa! le risate sono
contagiose e finii per unirmi a loro. Ridemmo così tanto che se qualcuno ci
avesse visto avrebbe fatto analizzare all’antidroga le bustine di the.
Quel giorno, con
mia grande sorpresa, scoprii che mia madre possedeva anche un grande senso
dell’umorismo. Oggi che è solo un mucchietto di cenere dietro una lapide di
marmo bianco la vorrei fare arrabbiare o ridere di nuovo e chissà non è detto
che un giorno o l’altro non ci riesca davvero. Magari sussurrandole quel nome
che aveva così tanto disprezzato….
Pasqualina….Pasqualina….Pasqualina…
Lina…Linaaaaa…..
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