Era sicuramente un asiatico, forse un cinese, un coreano. Chissà. Il commissario Vincenzo Sangineto non sapeva distinguerli. A lui, quelle etnie, sembravano tutte uguali. Neppure i giapponesi sapeva riconoscere senza macchina fotografica appesa al collo.
E il tizio
steso, e morto stecchito come un’aringa sotto sale, non aveva macchine
fotografiche vicine.
«Documenti?»
aveva domandato il commissario all’ispettore capo Luigi Bernasconi.
«No! Nessuno.
Solo questo ciondolo».
Il commissario
si fece passare la busta di plastica dove era stato riposto il gioiello. Si
trattava di un cammeo con inciso sopra una figura filiforme. Un uomo stilizzato
dagli occhi enormi. Sullo sfondo una miriade di stelle e pianeti. Il
commissario ne esaminò la consistenza attraverso la plastica. Quasi sicuramente
l’oggetto era falso. Da bigiotteria.
Il corpo era
stato rinvenuto al mattino presto in mezzo a un campo circondato da condomini.
A trovarlo era stato un pincopallo qualsiasi che aveva portato il cane fuori.
Pincopallo era stato già interrogato da un agente e non sembrava in grado di
fornire particolari rilevanti. Aveva solo detto di avere notato il corpo
adagiato nell’erba. Si era avvicinato e aveva immediatamente chiamato le forze
dell’ordine.
Il cadavere si
presentava con un piccolo foro all’altezza del cuore e solo una piccola macchia
rossa allargata sul taschino della camicia di cotone.
Quella non era
una zona di cinesi o coreani. Il morto, probabilmente, era stato portato lì a
braccia dai suoi assassini.
«Abbiamo
qualche contattato con i cinesi di via Farga?» chiese il commissario
all’ispettore
«Qualcuno»
«Ok fammi
sapere se riesci a tirare fuori il ragno dal buco, io torno in ufficio».
Aprì un tovagliolo
di carta stendendolo sul piano del basso tavolino. Dentro c’erano i biscotti
che sua madre gli aveva fatto avere. I suoi preferiti: “Le madri non cambiano
mai” pensò il commissario agguantando uno dei dolci. Stava sgranocchiando il
secondo biscotto quando la sua pausa culinaria fu interrotta dall’arrivo
dell’ispettore Bernasconi.
Insieme
all’ispettore c’era un tipo basso, bruno e dai capelli lisci e corvini. Gli
occhi a mandorla.
«E questo chi
è?» domandò brusco il commissario.
«Lui è Manuel Pineda»
«E sarebbe?»
«Il contatto
con la comunità asiatica!» gonfiò il petto l’ispettore.
«Ma non mi
sembra cinese!» sbottò il commissario.
«È il meglio
che ho trovato» allargò le braccia l’ispettore non più tanto soddisfatto.
Il commissario
scrutò il giovane che aveva davanti con circospezione.
«Sei cinese?»
«No, italiano.
I miei genitori sono filippini»
«Sai nulla del
cinese o del coreano trovato morto nel pratone qui dietro? Se sai qualcosa ti
conviene sputare il rospo».
«Non so nulla,
Luigi mi ha bloccato e mi ha portato qui».
«Ispettore
Luigi Bernasconi, non dimenticartelo amico!» si intromise l’ispettore.
«Quindi non
sai niente di niente?» continuò il commissario senza prestare attenzione alle
proteste del suo vice.
Un luccichio
attraversò lo sguardo del filippino e il commissario comprese che forse avevano
imboccato la strada giusta.
«Io non so
nulla, ma forse la vedova Beatrice Rampulla potrebbe avere qualche informazione
interessante» rispose Pineda che con le sue parole aveva lanciato il sasso nello
stagno.
«Che tipo di
informazione?» proseguì il commissario.
«Informazioni.
Ma…cosa ci guadagno in cambio?»
«Che non ti
sbatto dentro»
«Troppo poco»
Il commissario
fece allora allontanare l’ispettore e dopo aver brevemente confabulato con il
filippino lo richiamò a sé. L’ispettore vide Manuel Pineda infilare le scale
con in mano il tovagliolo e i biscotti del commissario. Al commissario non
sfuggì lo stupore disegnato sul viso del suo sottoposto.
«Mi dispiace
ispettore. Ho dovuto darglieli o non avrebbe mai parlato»
«Capisco!» si
limitò ad annuire l’ispettore.
«Buongiorno
Donna Beatrice» esordì il commissario levandosi il panama dalla testa.
«Buongiorno commissario
e buongiorno anche a lei ispettore. Quale vento vi porta da queste parti?».
La vedova era
adagiata su un sedile di vimini. Davanti a lei un tavolino dello stesso
materiale e altre due sedie che sembravano essere state preparate proprio per
far accomodare i due investigatori.
«Possiamo
rubarle pochi minuti?» domandò il commissario.
«Certamente.
Gradite del the freddo?»
«Molto
volentieri» intervenne l’ispettore. Il commissario lo guardò, ma non disse
nulla.
«Aleandro per
piacere porta ai nostri ospiti del the»
Poco dopo
apparve Aleandro con una caraffa mezza vuota e due bicchieri di plastica. Il
commissario finse di non riconoscere, in Aleandro, Manuel Pineda e quando il
maggiordomo della vedova riempì il bicchiere, il commissario ringraziò. Prima di
andarsene il maggiordomo versò anche qualche goccia di the freddo nel bicchiere
dell’ispettore. La bibita refrigerante era finita. L’ispettore fissò in
cagnesco il cameriere.
«Allora,
volete dirmi per quale ragione siete qui? Ho come l’impressione che non si
tratti di una visita di cortesia».
L’ispettore
tirò fuori da una tasca il cammeo trovato sul corpo del cinese e lo gettò sul
tavolino di vimini.
«Non c’è
voluto molto a scoprire che questo amuleto è legato alla sua famiglia» ruppe
gli indugi il commissario.
«Come fa ad
averlo?» sussultò la vedova.
«L’abbiamo
trovato sul corpo di un uomo assassinato»
Il commissario
e l’ispettore guardarono in direzione del prato. Non c’erano più poliziotti
intorno al cadavere che giaceva nella calura estiva, accarezzato appena dai
fili d’erba mossi da sincopati refoli di vento.
La vedova
Rampulla ebbe un fremito, ma tentò di reprimere l’emozione disegnatasi sul suo
volto austero. Era ormai evidente che la signora fosse la chiave del mistero
del cinese morto. Tuttavia il commissario non fece in tempo ad emettere una
sola sillaba…
A quella voce
il commissario Sangineto rimase impietrito. Gli occhi sbarrati e le labbra
tremule per la rabbia. Benché fosse sopraggiunta la sera, la temperatura era
ancora abbastanza alta, solo le ombre si erano allungate al disopra dei
palazzi.
«Forza
Vincenzo è ora di cena…non fare storie» incalzò la voce.
L’ispettore
Luigi Bernasconi, 11 anni e la vedova Beatrice Rampulla 11 anni pure lei, si
alzarono per primi.
«Tieni
Vincenzo. Riprenditi il tuo omnitrix noi andiamo a casa» lo spronò Luigi
lanciandogli il cammeo della vedova.
«Dai, non te
la prendere continuiamo domani se ti va» fece eco Beatrice.
Manuel, nel
frattempo, aveva inforcato la sua bici e attraversato il cortile.
Solo il
dodicenne commissario Vincenzo Sangineto rimase seduto al suo posto a guardare
la sagoma del fantoccio composto di stracci gialli tenuti insieme da una
camicia logora del padre. Aveva gli occhi acquosi, due piccole dighe ormai in
procinto di cedere. Era a un passo dal risolvere il caso, solo a un passo…ma
finiva sempre così…non riusciva mai ad arrestare nessuno.
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