domenica 19 gennaio 2014

Omicidio per gioco

Era giallo come un limone cotto dal sole. Era steso a terra con le braccia larghe e la faccia rivolta alle nuvole. Ed era morto.
     Era sicuramente un asiatico, forse un cinese, un coreano. Chissà. Il commissario Vincenzo Sangineto non sapeva distinguerli. A lui, quelle etnie, sembravano tutte uguali. Neppure i giapponesi sapeva riconoscere senza macchina fotografica appesa al collo.


E il tizio steso, e morto stecchito come un’aringa sotto sale, non aveva macchine fotografiche vicine.

«Documenti?» aveva domandato il commissario all’ispettore capo Luigi Bernasconi.

«No! Nessuno. Solo questo ciondolo».

Il commissario si fece passare la busta di plastica dove era stato riposto il gioiello. Si trattava di un cammeo con inciso sopra una figura filiforme. Un uomo stilizzato dagli occhi enormi. Sullo sfondo una miriade di stelle e pianeti. Il commissario ne esaminò la consistenza attraverso la plastica. Quasi sicuramente l’oggetto era falso. Da bigiotteria.

Il corpo era stato rinvenuto al mattino presto in mezzo a un campo circondato da condomini. A trovarlo era stato un pincopallo qualsiasi che aveva portato il cane fuori. Pincopallo era stato già interrogato da un agente e non sembrava in grado di fornire particolari rilevanti. Aveva solo detto di avere notato il corpo adagiato nell’erba. Si era avvicinato e aveva immediatamente chiamato le forze dell’ordine.

Il cadavere si presentava con un piccolo foro all’altezza del cuore e solo una piccola macchia rossa allargata sul taschino della camicia di cotone.

Quella non era una zona di cinesi o coreani. Il morto, probabilmente, era stato portato lì a braccia dai suoi assassini.

«Abbiamo qualche contattato con i cinesi di via Farga?» chiese il commissario all’ispettore

«Qualcuno»               

«Ok fammi sapere se riesci a tirare fuori il ragno dal buco, io torno in ufficio».

 Dal suo ufficio il commissario faceva finta di fumare una sigaretta mentre scrutava le operazioni dei suoi uomini che si affaccendavano vicino al luogo del ritrovamento del cadavere.

Aprì un tovagliolo di carta stendendolo sul piano del basso tavolino. Dentro c’erano i biscotti che sua madre gli aveva fatto avere. I suoi preferiti: “Le madri non cambiano mai” pensò il commissario agguantando uno dei dolci. Stava sgranocchiando il secondo biscotto quando la sua pausa culinaria fu interrotta dall’arrivo dell’ispettore Bernasconi.

Insieme all’ispettore c’era un tipo basso, bruno e dai capelli lisci e corvini. Gli occhi a mandorla.

«E questo chi è?» domandò brusco il commissario.

«Lui è Manuel Pineda»

«E sarebbe?»

«Il contatto con la comunità asiatica!» gonfiò il petto l’ispettore.

«Ma non mi sembra cinese!» sbottò il commissario.

«È il meglio che ho trovato» allargò le braccia l’ispettore non più tanto soddisfatto.

Il commissario scrutò il giovane che aveva davanti con circospezione.

«Sei cinese?»

«No, italiano. I miei genitori sono filippini»

«Sai nulla del cinese o del coreano trovato morto nel pratone qui dietro? Se sai qualcosa ti conviene sputare il rospo».

«Non so nulla, Luigi mi ha bloccato e mi ha portato qui».

«Ispettore Luigi Bernasconi, non dimenticartelo amico!» si intromise l’ispettore.

«Quindi non sai niente di niente?» continuò il commissario senza prestare attenzione alle proteste del suo vice.

Un luccichio attraversò lo sguardo del filippino e il commissario comprese che forse avevano imboccato la strada giusta.

«Io non so nulla, ma forse la vedova Beatrice Rampulla potrebbe avere qualche informazione interessante» rispose Pineda che con le sue parole aveva lanciato il sasso nello stagno.

«Che tipo di informazione?» proseguì il commissario.

«Informazioni. Ma…cosa ci guadagno in cambio?»

«Che non ti sbatto dentro»

«Troppo poco»

Il commissario fece allora allontanare l’ispettore e dopo aver brevemente confabulato con il filippino lo richiamò a sé. L’ispettore vide Manuel Pineda infilare le scale con in mano il tovagliolo e i biscotti del commissario. Al commissario non sfuggì lo stupore disegnato sul viso del suo sottoposto.

«Mi dispiace ispettore. Ho dovuto darglieli o non avrebbe mai parlato»

«Capisco!» si limitò ad annuire l’ispettore.

 Nel tardo pomeriggio i due poliziotti fecero visita alla vedova Rampulla. La trovarono intenta al ricamo.

«Buongiorno Donna Beatrice» esordì il commissario levandosi il panama dalla testa.

«Buongiorno commissario e buongiorno anche a lei ispettore. Quale vento vi porta da queste parti?».

La vedova era adagiata su un sedile di vimini. Davanti a lei un tavolino dello stesso materiale e altre due sedie che sembravano essere state preparate proprio per far accomodare i due investigatori.

«Possiamo rubarle pochi minuti?» domandò il commissario.

«Certamente. Gradite del the freddo?»

«Molto volentieri» intervenne l’ispettore. Il commissario lo guardò, ma non disse nulla.

«Aleandro per piacere porta ai nostri ospiti del the»

Poco dopo apparve Aleandro con una caraffa mezza vuota e due bicchieri di plastica. Il commissario finse di non riconoscere, in Aleandro, Manuel Pineda e quando il maggiordomo della vedova riempì il bicchiere, il commissario ringraziò. Prima di andarsene il maggiordomo versò anche qualche goccia di the freddo nel bicchiere dell’ispettore. La bibita refrigerante era finita. L’ispettore fissò in cagnesco il cameriere.

«Allora, volete dirmi per quale ragione siete qui? Ho come l’impressione che non si tratti di una visita di cortesia».

L’ispettore tirò fuori da una tasca il cammeo trovato sul corpo del cinese e lo gettò sul tavolino di vimini.

«Non c’è voluto molto a scoprire che questo amuleto è legato alla sua famiglia» ruppe gli indugi il commissario.

«Come fa ad averlo?» sussultò la vedova.

«L’abbiamo trovato sul corpo di un uomo assassinato»

Il commissario e l’ispettore guardarono in direzione del prato. Non c’erano più poliziotti intorno al cadavere che giaceva nella calura estiva, accarezzato appena dai fili d’erba mossi da sincopati refoli di vento.

La vedova Rampulla ebbe un fremito, ma tentò di reprimere l’emozione disegnatasi sul suo volto austero. Era ormai evidente che la signora fosse la chiave del mistero del cinese morto. Tuttavia il commissario non fece in tempo ad emettere una sola sillaba…

 «Vincenzo! Vincenzo! È pronto in tavola…forza sali prima che arrivi tuo padre»

A quella voce il commissario Sangineto rimase impietrito. Gli occhi sbarrati e le labbra tremule per la rabbia. Benché fosse sopraggiunta la sera, la temperatura era ancora abbastanza alta, solo le ombre si erano allungate al disopra dei palazzi.

«Forza Vincenzo è ora di cena…non fare storie» incalzò la voce.

L’ispettore Luigi Bernasconi, 11 anni e la vedova Beatrice Rampulla 11 anni pure lei, si alzarono per primi.

«Tieni Vincenzo. Riprenditi il tuo omnitrix noi andiamo a casa» lo spronò Luigi lanciandogli il cammeo della vedova.

«Dai, non te la prendere continuiamo domani se ti va» fece eco Beatrice.

Manuel, nel frattempo, aveva inforcato la sua bici e attraversato il cortile.

Solo il dodicenne commissario Vincenzo Sangineto rimase seduto al suo posto a guardare la sagoma del fantoccio composto di stracci gialli tenuti insieme da una camicia logora del padre. Aveva gli occhi acquosi, due piccole dighe ormai in procinto di cedere. Era a un passo dal risolvere il caso, solo a un passo…ma finiva sempre così…non riusciva mai ad arrestare nessuno.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

      

Nessun commento:

Posta un commento