martedì 18 marzo 2014

CLOCHARD



Fa un freddo cane. Nicola lo sente che gli morde le ossa da dentro e non può farci niente. Il cappotto logoro che gli hanno regalato i volontari della Caritas non basta a tenerlo al riparo dall'aria gelida dell'inverno.

Se ne sta nascosto dietro il grande pino, seduto sui resti di una panchina di cemento. Cerca di non farsi notare troppo, alza il bavero della giacca, sarebbe difficile spiegare la sua presenza lì a qualcuno che lo riconoscesse. Sarebbe difficile spiegare il suo stato. Nicola sa di essersi trasformato in un relitto ambulante. In paese conoscono la sua storia. Un paese piccolo sa sempre tutto, crede di sapere...poi magari non sa nulla dei dettagli, e i dettagli fanno la differenza. Le sfumature riempiono i vuoti di una storia, ma sono risibili davanti al gusto del pettegolezzo.
Quando Nicola era ancora sposato con Cristiana, tanto per dire, non si curava affatto dei pettegolezzi. Alzava semplicemente le spalle in segno di non curanza.
«Ci sarà pure una ragione che noi non conosciamo...Chissà davvero come vanno certe cose. Tu lo sai? Ci puoi mettere la mano sul fuoco?...E allora! perché dai retta alle chiacchiere?» diceva sempre.
«Uff!! con te non si può mai dir nulla» sospirava sconsolata la moglie.
No, Nicola non amava il pettegolezzo, perché era consapevole dei danni che poteva provocare.
E ora ridotto com'è....
Dietro il grande albero...
Seduto su quella vecchia panchina che il comune non ha ancora demolito.
Accanto al bidone di rifiuti mezzo incendiato.
Ad una ventina di metri c’è l'ingresso della scuola materna.
Se qualcuno lo nota e lo riconosce, succede un bel pandemonio.
Se qualcuno lo nota e non lo riconosce, potrebbe chiamare i carabinieri e sarebbe anche peggio.
Ti prego...ti prego...ti prego...Non farmi notare, pensa Nicola senza rivolgersi a nessuno in particolare.  Neppure a Dio.
E Nicola, quasi quasi, si trasforma in un fantasma. Continua ad avere freddo, continua a battere i denti, continua a vedere cosa gli sta intorno. Ma nessuno dà l'impressione di scorgerlo. Allora, lui, timido, s’affaccia da dietro il tronco grigio e si mette a guardare dall'altra parte della strada.
Sono tante le mamme e i nonni che si affollano al cancello d'ingresso della scuola materna. È uno sciame vociante di adoratori dei propri piccoli tesori.
Ci sono pochi papà, nota Nicola. Sono tutti al lavoro: negli uffici o in fabbrica o chissà dove, e lui è l'unico papà invisibile che aspetta di veder uscire suo figlio. Lo riconoscerà dopo due anni e mezzo? Sarà cresciuto? Sarà un altro bambino...
Si! lo ha riconosciuto. Lo ha riconosciuto ancora prima di veder spuntare la suocera che gli corre dietro.
E si! è cambiato. Davide s’è fatto più alto, ha più capelli, uno sguardo intelligente e allegro che all'epoca, prima che lui lo abbandonasse, prima che si perdesse dentro le bottiglie di liquore, era soltanto un disegno spiritoso su un faccino da putto.
Mi manchi Davide, mi manchi da impazzire.
Adesso Davide è raggiunto dalla nonna che lo afferra per un lembo della giacca. Lui ride divertito e cerca di scappare dalla stretta, ma la nonna ha un guizzo e se lo carica a fatica in braccio. Nonna e nipote escono dal cancello dell’asilo e girano a sinistra, non si avvicinano neppure al pino dove sta aggrappato Nicola con le lacrime agli occhi.
Nicola resta lì attaccato a quell'albero, al freddo, mentre singhiozza e piange. Le dita grattano la corteccia di legno. Una crosta rugosa si stacca e cade sul bordo del marciapiede. Nicola continua ad affondare le unghie sporche nel tronco, fino a quando iniziano a sanguinare e il suo sangue si mischia alla resina viscosa che cola dalla pianta. La barba sale e pepe del “papà fantasma”, così ispida, si imbeve del fiume che gli sgorga dagli occhi e s’impaluda col moccio del naso. Continua a guardare quei bambini che stringono, fiduciosi, mani adulte. Nicola li guarda fino a quando anche l'ultimo ragazzino non lascia la scuola e la suora corre a chiudere il cancello.
L'ultimo bambino che esce è un po' imbronciato, la sua mamma ha fatto tardi, lui non le rivolge neppure la parola. La mamma gli fa una carezza, ma il bimbo non ha voglia di coccole e scosta la testa immusonito.
Solo per un ritardo di pochi minuti ed è già una tragedia, pensa Nicola. Chissà  se dovessi presentarmi da Davide dopo tutto il tempo che è passato.
Non pensarci se non vuoi soffrire troppo gli sussurra la piccola Sherley Temple, con una vocina.
Nicola guarda Sherley stupito, la bambina gli fa un sorriso e gli indica col ditino proteso l'edificio della scuola materna parrocchiale. Il povero barbone alza di nuovo lo sguardo umido, la fronte gli si corruga e intorno a lui non è più inverno, ma una giornata di primavera.
Le foglie sui rami degli alberi sono verdi, il sole è tiepido, gli uccelli cantano e tanti bambini giocano all'aperto. Anche Nicola gioca insieme ai suoi amici, hanno tutti la testa troppo grande e rotonda e hanno le manine grassocce e a qualcuno già mancano i dentini da latte. L'anno prossimo si va alle elementari, niente più coccodrilli che escono dalle aiuole delle suore, niente più lavoretti con la colla e il cartone, ma quaderni colorati e lettere da trascrivere. La prima classe è però ancora lontana, addirittura a settembre, dicono. E chissà quand'è settembre.
Suona una campanella, la ricreazione è finita. Nicola segue malvolentieri i suoi compagni di gioco. Il cortile si svuota velocemente, sui gradini per entrare ci sono troppi bambini che si accalcano, troppi per passare tutti insieme. In mezzo a  loro c'è anche Flavio, col suo visino da monello. Non sa che morirà prima di compiere vent’anni in un incidente.
Ma adesso c'è anche lui e Nicola gli va vicino ed entrano insieme facendosi della boccacce assurde.

Sherley gli tira la manica del cappotto e Nicola si ridesta dai suoi sogni. Non è più un bambino, ma un adulto. Un uomo solo, brutto, incattivito, deluso. Un fallito senza speranza. Si stacca a fatica da quell’albero che ha stretto con tanta foga e si dirige verso la stazione del treno che è lì vicino. Una stazione modesta con la biglietteria che, da sempre, guarda la navata centrale della chiesa. E mentre Nicola è in mezzo alla strada, tra la chiesa e la stazione, si volta indietro e s’arrampica sulle scale del sagrato.
Dentro la chiesa è buio. Rilucono le candele. Nicola si avvicina e si accorge che non sono candele di cera, ma sono surrogati di plastica che hanno in cima una piccola lampadina. Sono candele elettriche che non tremolano, non scaldano, non sciolgono niente. Sherley è lì con lui, c’è sempre quando Nicola si sente triste.
Un giorno, questa piccola stellina del grande schermo, gli si è presentata come se fosse reale e lui non l’ha respinta. I due però parlano poco si tenengono soltanto un po’ di compagnia.
Alle volte l’adorabile attrice gli appare sbiadita altre volte è satura di colori. È una cosa che prima o poi le chiederà:
Come mai hai sempre qualcosa di diverso?
Nicola e Sherley si sono seduti su una panca e il primo blatera una preghiera tra i denti. E’ un Padre nostro e poi recita un’Avemaria e poi si alza per uscire senza attendere la sua amica che lo lascia allontanarsi da solo. Fuori, dato che è inverno, il pomeriggio volge al termine e il crepuscolo non è lontano da venire. Nicola si cala in testa il berretto di lana sudicio e attraversa la strada. Ha appena il tempo di scorgere le barriere della stazione abbassarsi, di sentire l’eco di uno scampanellio e di vedere Sherley che è immobile sul sagrato della chiesa.
Una frenata gli stride nelle orecchie.
Sull’asfalto restano impressi i segni di grossi pneumatici.
Una luce bianca gli toglie le immagini dagli occhi, tranne una.
 Il barbone è stato investito. Ha fatto un lungo volo. Ha la faccia sulla strada e sembra sorridere a qualcuno che si trova sul sagrato. Ma sul sagrato non c’è nessuno. Guarda in alto, le luminarie natalizie sono ancora appese nel viale. La sera non vengono più accese. Presto saranno tirate giù dai tralicci e riposte da qualche parte fino all’anno prossimo….

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