venerdì 31 ottobre 2014

BUIO

Brancolo nel buio. Un buio fitto, nero, rumoroso. I miei occhi sono quelli di Barone, un cane guida attento e diligente. C’è profumo di donna in giro, lo annuso e mi eccita. Annuso anche altri odori, così come ascolto tutti i suoni che si affacciano nel mio appartamento e che vengono dalla strada.
Oggi sono stato in centro. Ad aspettarmi, all’angolo di una strada, c'era una quelle. L’ho chiamata ieri sera. Il numero del suo cellulare me lo aveva dato un amico.

Mi ha detto: «Chiamala. E dai chiamala. Guarda che non è come le altre!»
Mi sono lasciato convincere perché da troppo tempo non scopavo piùc con nessuna. Neppure mi masturbavo. Insieme alla vista, dopo l’incidente, ho perso anche gran parte dell'immaginazione. Non che ne abbia mai avuta molta, ma quella che avevo mi bastava.
La ragazza era lì, all’ora stabilita, nel punto preciso in cui ci siamo dati appuntamento. Non la potevo vedere, ma sapevo che c’era e che si sarebbe avvicinata lei. Non appena è successo, Barone è scattato in avanti per proteggermi.
«Sta buono Barone, non ti preoccupare non è nessuno» gli ho sussurrato lisciandogli il pelo.
La ragazza mi ha chiesto come mi chiamavo, e io ho inventato un nome. Ho pensato che doveva essere molto bella. Giovane lo era di sicuro.
Mi ha dato la mano, le sue dita erano lunghe e curate. La sua voce morbida. E' una sirena dell'Est. Il profumo che s'era buttata addosso non era però un granché, mediocre come quello di tante altre donne che incrocio quotidianamente nelle mie scure peregrinazioni. Tuttavia, mentre mi conduceva nel suo appartamento, desideravo inebriarmi di quell'aroma. Desideravo annusare, sotto l'effluvio del profumo, la pelle delle ragazza. E mentre mi perdevo dietro i passi di lei per le strade della città sentivo l'agitazione di Barone.
Ad un certo punto ho sentito che la ragazza s'è messa a camminare al mio fianco. Aveva voglia di fare conversazione, forse perché s’era convinta che fossi timido e voleva riempirmi le orecchie di minchiate. Forse voleva solo rompere quell'imbarazzo strisciante che ti coglie quando vai con una puttana. Dal canto mio cercavo solo di vedere nelle tenebre il suo modo di camminare.
Le sue falcate erano brevi balzi aerei che restavano sospesi nel vuoto appena un attimo. Il rumore dei suoi tacchi mi persuase che dovevano essere tacchi alti. Sentivo la stoffa della gonna frusciarle sulle cosce. Riuscivo a immaginarla; una creatura eterea persa nella giungla dei marciapiedi. Stando al suo fianco, respirando il suo profumo cattivo, intuendo l’agitazione del mio cane, tutta una fantasia di figure e colori era deflagrata nel mio cervello. Continue scariche elettriche mi trafiggevano gli emisferi e avevo come l’impressione di scorgere bagliori improvvisi di luce. La mia eccitazione era all’apice.     
Soltanto immaginandola ho potuto vederla. Era come se la benda nera, che mi oscurava ogni visione, mi fosse stata tolta dagl'occhi e un raggio di sole avesse avvolto in un abbraccio quella donna salvifica. La donna che  mi avrebbe liberato dall'assedio dell'anima. 
Ci siamo arrestati davanti al portone di un palazzo, sentivo degli spifferi provenire dal cortile interno. Quell’'impercettibile corrente d'aria accompagnava delle voci, era come l'acqua d'un ruscello che scorre  verso la valle e che porta via i detriti della montagna. Capii che le voci erano quelle di un uomo e di una donna che parlavano di lavoro. Niente di più banale. Pensai che quei due impiegati desiderassero finire nello stesso letto. Che almeno per una volta avrebbero potuto lasciare da parte tutti quei noiosi discorsi di dividendi e bilanci aziendali per placare una sete o anche solo per riempiere un vuoto. Pensai che se si fossero lasciati andare sarebbero stati forse più felici. Pensai anche che se fossero stati sposati alla fine non sarebbe cambiato proprio nulla nelle loro vite. Poi, come erano venute, le voci s'allontanarono dimentiche d'aver incrociato un cieco tenuto per mano da una ragazza insieme a un cane incazzato.
«Su, andiamo» disse la ragazza.
Ho obbedito e l'ho seguita con Barone che faceva strada scodinzolando. Ho avuto un momento dove il senso di colpa stava per farmi rinunciare, ma non volevo rinunciare al sesso. Ero come vinto da una voglia insaziabile che inibitrice di buoni propositi.  
Salimmo in ascensore. Nella cabina la ragazza si è avvicinata e mi ha sussurrato qualcosa all’orecchio, poi ha fatto scivolare la mano verso il basso strofinandomela sui pantaloni. Non ho aperto bocca e sono rimasto immobile. Barone invece è scattato. Allora la ragazza s'è allontanata.
Ho contato cinque piani, un rumore di ferraglia ha segnato lo stop.
Nell’appartamento c’era odore di cibo mischiato a quello di candele. Dentro non doveva essere molto grande. Sono rimasto sulla soglia per un po’. Barone continuava a scodinzolare, era nervoso, non osava farmi strada. Poi s'è deciso e poco per volta ci siamo mossi. La ragazza, nel frattempo, ci aveva preceduto.
«Vieni. Lascia il cane in bagno»
«Mi dispiace Barone, ma tu capisci vero? Fosse per me…»
Ma Barone non ha capito e l’ho sentito uggiolare e graffiare con le zampe la porta della sua prigione.
La camera da letto era pregna del profumo della ragazza.
Dopo essersi tolta le scarpe, che ho sentito cadere sul tappeto, mi è venuta vicino, ero un palpito di eccitazione. La ragazza ha cominciato a strusciare le sue curve contro la mia rigidezza. Mi ha condotto fra le coltri leggere della sua alcova dove abbiamo fatto l’amore. Un amore mercenario e disinvolto.
Durante il rapporto ci siamo avvinghiati, abbiamo sudando per lo sforzo e per il piacere. Abbiamo scopato con passione, e alla fine siamo crollati esausti. Mi sentivo un naufrago tra le fodere di seta.
La ragazza non ha avuto fretta di mandarmi via. Ci siamo addormentati. Quando mi sono svegliato ho respirato ancora una volta la sua fragranza che mi ha riempito le narici. Ho accarezzato la sua morbidezza che mi ha ridestato da un torpore profondo. L’ho amata ancora, dell’amore sincero che si può concedere ad una donna che fa quel mestiere.
L’ho pagata e sono ridisceso in strada. Barone non scodinzolava più. Era offeso. Non sapevo a che punto del tramonto fosse il sole. Per era già buoi, lo era sempre stato. Mi accesi una sigaretta e decisi che sarei tornato, che avrei richiamato di nuovo la ragazza.
«Fattene una Ragione Barone» ho detto al cane prima di avviarmi verso la fermata della metropolitana.


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