domenica 3 maggio 2015

Bambino mio - quello che le madri non dicono. Recensione di Ivan Bavuso

  

Quando nel maggio del 2014 ho incontrato per la prima volta Alina Rizzi e l’editore aveva provato a chiederle se voleva che fossi io a presentare il suo libro, dato alle stampe solo un mese prima, in un incontro che doveva ancora essere organizzato, Alina aveva nicchiato. In quel frangente, il libro non lo avevo ancora letto. Avevo letto la quarta di copertina e mi ero fatto un’idea leggendo forse il primo racconto. Il fatto che l’autrice non sembrava troppo entusiasta nel farsi presentare da me, non mi aveva disturbato, ma avevo pensato che l’autrice s’era fatta l’idea che non sarei stato all’altezza di una prima presentazione di Bambino mio -  quello che le madri non dicono. E le cose, in un certo senso, stavano davvero così. Alina mi aveva confidato che stava aspettando la risposta di una presentatrice, una psicologa o qualcosa del genere.

Be’ ˗ pensai ˗ ognuno è libero di fare quello che vuole, soprattutto se si tratta di qualcosa a cui s’è dedicata con passione, ma devo anche confessare che mi rimase appiccicata quella sensazione di essere stato snobbato. Ora che ho letto per intero il suo libro ho capito perché, al suo primo apparire, non dovevo essere io a presentarlo. Non dovevo essere io non in quanto Ivan Bavuso, non dovevo essere io in quanto appartenente a un altro genere.
Il libro di Alina Rizzi è un collage di 21 storie che hanno un unico filo conduttore che è quello della maternità prima, dopo e durante. Una maternità sofferta, travagliata, soffocata, insolente. Lontana anni luce da quella maternità che viene ostentata ovunque, nelle pubblicità, nelle serie Tv, nei romanzi e purtroppo anche nei salottini della buona società così come nelle case di ringhiera delle residenze popolari. In questi contesti la maternità è qualcosa di bello, che evoca solo sentimenti felici anche quando richiede grandi sacrifici.
Poi però le cronache dei giornali raccontano una verità diversa.
Il libro di Alina Rizzi è un libro coraggioso. Intellettualmente coerente, emotivamente perturbante. Solo leggendolo dall’inizio alla fine è possibile provare a raccontarlo. È come fare un giro sulle montagne russe. Quando ti accomodi sai già che dovrai affrontare il giro della morte, ma non ci arrivi subito. Prima affronti delle salite e delle discese che tutto sommato sono sopportabili, è quando ti ritrovi a testa in giù che sfrecci a una velocità che ti lascia senza fiato, non sei più così sicuro di avere fatto la cosa giusta a salire sulla giostra. Poi il giro termina di nuovo affrontando delle curve più dolci, e quando scendi sei disorientato ma anche più consapevole.
Ecco questo è un po’ quello che ho provato leggendo Bambino mio.
Ciò che ti spiazza più di tutto quando ormai sei nel giro della morte del libro è la difficoltà che il lettore ha di immedesimarsi nei personaggi. Chi ama leggere sa bene che il processo empatico con i protagonisti (o a volte anche con gli antagonisti) di una storia è fondamentale. Pensate a Jean Valjean: chi non vorrebbe essere dotato delle sue virtù? E pensate invece ad Anna Maria Franzoni: chi vorrebbe essere accostato a una donna accusata di avere ucciso il proprio bambino, ancorché la si ritenga vittima di una condanna ingiusta?
Alcuni racconti di Alina Rizzi sono destabilizzanti, ma hanno il pregio di raccontare senza pregiudizio quello che spesso ci ritroviamo a commentare in maniera superficiale leggendo il giornale. È un libro che parla alle donne, che vuole stimolarle e rincuorarle al tempo stesso. Gli uomini in questo libro non ci fanno una grande figura, ma forse proprio per questo che noi uomini dovremmo ascoltare le voci di Bambino mio al pari delle donne.
Il libro però non è solo devastazione emotiva. È anche altro. Nel Racconto MARIA viene esplicitata tutta la poetica del libro. In L’UOMO IDEALE c’è tutta la forza dell’amore che unisce una madre al proprio figlio. In MADRE LINGUA c’è la tragedia subìta più che quella provocata. Ne LA SIGNORA CANNIBALE e in ANNETTA è l’alterazione della realtà e della sua percezione che graffiano il lettore. Ne L’ODORE DI CASA siamo noi che ci barcameniamo nel disperato tentativo di superare lo scontro generazionale e che inibisce i rapporti con chi amiamo. Infine nel racconto NELLA STANZA Alina Rizzi ha il pregio di tendere una mano al lettore in segno di pace. Racconta una storia che potrebbe essere la storia di tutte le donne divenute madri. È la storia di un travaglio emotivo che volge verso orizzonti più sani e sereni anche se non necessariamente semplici da perseguire.
E poi, in ultimo, il libro di Alina Rizzi è scritto bene. Ogni parola si trova al posto giusto. Non ce ne sono troppe e non ce ne sono poche. Le descrizioni sono evocative, i dialoghi assolutamente reali. Insomma se fosse un vino, Bambino mio sarebbe un rosso corposo su un banchetto regale: un po’ forte, ma schietto e sincero.


                                                                                                            





1 commento:

  1. Bella recensione per un libro interessante.

    Giuseppe Novellino

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