I poeti vivono nelle mansarde sudice curando di porre attenzione solo
alle parole che scrivono. Il più delle volte, se ancora non sono riconosciuti
per le strade, nelle librerie, o nei più noti circoli culturali, la Povertà
diviene loro inseparabile compagna.
Di questa condizione, al limite del sopportabile, Tita, che è poeta e
filosofo insieme, non sembra curarsene. Lascia che sia.
Ogni giorno sempre più indolente, ravvolto nel suo logoro pastrano, con
alle mani guanti tagliati in punta di dita, fa scivolare veloce la penna sui
fogli che ha appoggiato sul piano di una cartelletta che tiene sulle ginocchia.
Un lume di candela balugina sulle righe che ha appena scritte, il filo di luce
le stringe in un abbraccio fioco di chiaroscuro.
Tita, il poeta, ha la schiena storta a furia di tenerla contro una metà
del materasso poggiato contro una porzione di parete umida. L’altra metà ospita
il suo sedere infreddolito.
Oggi, non ha mangiato nulla.
Forse mangerà domani. Si prenderà una pausa e uscirà dal suo tugurio
per andare in qualche mensa dei poveri. Tita sa che deve mangiare per non
indebolirsi troppo e aggravare il suo stato già abbastanza pietoso, non
riuscirebbe altrimenti a portare a termine il suo lavoro. Capita, però, che si
dimentichi spesso di questo piccolo particolare, e così si consuma insieme a
quei mozziconi di cero che recupera nella chiesa di San Giovanni. In simili
circostanze, la Provvidenza, se ancora non ha deciso del destino del
miserabile, gli manda un aiuto inaspettato; può succedere che qualche altro
disperato come lui, non vedendolo, si decida ad andarlo a trovare e allora gli
porta qualche tozzo di pane raffermo e una crosta di formaggio.
O Tita come ti sei ridotto. Ma che ci fai tutto solo? Eri così allegro
e bello un tempo!
E' la voce di sua madre a dire queste cose. Si è piazzata davanti a lui
e lo fissa compassionevole, con gli occhi di una madre che commisera un povero
figlio caduto in disgrazia. La madre di Tita è morta, ma dal giorno del
trapasso non ha mai voluto abbandonare il suo ragazzo. Tita non può vederla né
sentirla, anche se misteriosamente, in qualche modo, ne percepisce la presenza,
e i due dialogano:
Conosci la generosità dei libri?
Come dici figlio mio?
Conosci qualcuno più generoso di un poeta che ha scritto un buon
libro di poesie o un buon libro in genere?
Non capisco cosa tu voglia dire!
Non fa niente mamma. Ti voglio bene.
Anch’io caro. Anch’io ti voglio bene.
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