martedì 13 maggio 2014

LA RAGAZZA DI SIGIRIYA

fermiamoci un momento
e scrutiamo oltre
più dentro
più nel fondo dell’umanità
nella solitudine delle folla
Alla stazione del treno, seduta sulla panchina, la ragazza attendeva tranquilla il chiudersi delle barriere. Il dindondare del campanello che annunciava la fermata. Nulla sembrava turbarla. Una calma tutta orientale era disegnata sul suo bel viso asiatico, un viso che accoglieva, sereno, il sole caldo di una primavera frettolosa. Bella e giovane, poteva forse avere vent’anni. La osservai da lontano, ancora prima di salire sulla carrozza,  poi la guardai più da vicino, quando anche lei si sedette sul sedile di fronte al mio.

Trassi un libro che stavo leggendo, ma continuai di tanto in tanto a indirizzarle qualche furtiva occhiata. Alzavo lo sguardo dal libro non appena lei rivolgeva il suo  fuori dal finestrino.
E’ fastidioso essere fissati da un estraneo. E’ come se qualcuno cercasse di rapire un silenzio, si può defraudarlo senza che se ne accorga, semplicemente osservandolo. Un sorriso, uno sguardo, una malinconia rivolti altrove, non a noi, che, invece, rubiamo quel breve attimo in cui si palesa uno stato d’animo. E il ladro interpreta, indaga, scandaglia fondali sconosciuti del cuore altrui. Tuttavia si può rubare con discrezione, succede quando la curiosità è innocente e non morbosa. Quando ci si accorge di trovarsi di fronte ad un altro essere umano.
Pensavo a queste cose e guardavo la ragazza indiana dalla pelle bruna e dagli occhi profondi e scuri, improvvisamente ebbi l’impressione di trovarmi davanti ad una delle “ragazze senza veli di Sigiriya”. Esse sono state dipinte più di millecinquecento anni fa sulle rocce della montagna del Leone, nell’isola di Ceylon. Quella ragazza del treno era una di loro, aveva preso vita uscendo da quegli ancestrali affreschi rupestri ed ora se ne andava in giro come se appartenesse da sempre al mondo.
Aveva vent’anni ed era bella la ragazza di Sigiriya. Bella per la semplicità che aveva di essere una creatura. Cessai di contemplarla quando una comitiva di giovani scolari, in gita d’istruzione, fece irruzione nella carrozza.
A Milano, in Cadorna, mentre mi dirigevo verso la metropolitana, guardai per l’ultima volta la ragazza di Sigiriya allontanarsi. Camminava a pochi passi da me, lungo la banchina. Le lanciai un’ultima occhiata e poi si perse nel mare di pendolari che la inghiottì per sempre.




1 commento:

  1. Un quadretto davvero gustoso, scritto in modo impeccabile. Mi è piaciuto.

    Giuseppe Novellino

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