mercoledì 25 maggio 2016

Salmone, un racconto di Giuseppe Novellino

In questo racconto, Giuseppe Novellino, mette in luce ancora una volta la propria vena ironica. Da bravo autore egli riesce a trovare nelle pieghe di un realismo apparentemente fuori moda la storia da raccontare. Forse ciò che viene narrato in questo racconto è accaduto davvero o forse ciò che Novellino illustra è la rivisitazione letteraria di un fatto che gli hanno raccontato. Poco importa, ciò che conta è che questa storia è stata messa nero su bianco, ciò che conta è che qualcuno la può leggere e trarne le considerazioni che vuole. 

 SALMONE

Pioviggina. Goccioline di acqua ghiacciata sono portate da un venticello che s’infila nei vicoli della città vecchia e frusta dolorosamente la faccia.
     Antonio è appena uscito dal negozio, stringe al fianco il sacchetto di cibarie da poco acquistate; dovrebbe rientrare a casa il prima possibile perché sono quasi le sette e Wanda lo attende per mettere qualcosa in pentola. Ma i piedi gli sono diventati pesanti, come se si volessero rifiutare di portarlo, attraverso le viuzze che sono particolarmente tristi (almeno così a lui sembrano) e fredde, quella sera di fine febbraio.
     Imboccata via Cavallotti, si sente come Cristo sul Calvario. E quando è in prossimità di Piazza Campello, s’infila in un bar. C’è un bel calduccio lì dentro, pochi avventori e dietro il banco una donna bionda, bene in carne, che strofina bicchieri con aria svagata. Da una radio viene la voce di Gino Latilla che canta Tutte le mamme, il suo successo dell’ultimo Sanremo.
     Sceglie un tavolo in fondo al locale, sotto una targa con la reclame della China Martini. Posa il sacchetto su una sedia, si accomoda e accavalla le gambe, guardando davanti a sé con aria avvilita. Infila una mano in tasca per prendere una sigaretta, ma non ne ha. E quando la florida barista gli si avvicina per l’ordinazione, lui risponde: «Un’aranciata». Non che ne abbia voglia, ma non gli viene in mente nient’altro.

     «Va bene, signor maestro.»
     Prima che lei torni al banco, Antonio chiede: «Mi conosce?».
     «È l’insegnate di mio nipote, se non mi sbaglio: Michele Carini… Lo chiamano Chelino.»
     «Ah, già! Chelino» fa lui con un sorriso di circostanza. 
     «Le è affezionato e spera di averla fino in quinta.»
     «Sarà senz’altro così» dichiara il maestro Antonio con voce incolore.
     «Eh, non si può mai sapere. Voialtri maestri meridionali un bel giorno ci piantate in asso e tornate al vostro paese.»
     Antonio la guarda con più attenzione.  «Non c’è pericolo… Mia moglie è sondriese. Abbiamo tre figli piccoli. Dove vuole che andiamo?»
     La donna ammicca e sorride compiaciuta: «Le porto l’aranciata».
     «Grazie.»
     Gli fa piacere essere riconosciuto e chiamato signor maestro. I suoi genitori, laggiù al paese, ne sarebbero orgogliosi. Peccato che debbano solo immaginarselo. Comunque, Sondrio è una cittadina piccola; quasi tutti si conoscono.
     La voce di Gino Latilla ha ceduto il posto a quella di Carla Boni che ora canta Non è mai troppo tardi.
     La donna gli si avvicina di nuovo con il vassoio, lo serve in silenzio.
     Antonio si porta il bicchiere alle labbra. La bevanda fredda e frizzante gli procura una violenta scossa, non solo allo stomaco. Ed ecco, il ricordo si staglia di nuovo con violenza nella sua mente. Che cosa dirà a sua moglie per giustificarsi?

     «Buona sera, maestro Novellino.»
     Antonio si girò di scatto.  «Buona sera signor direttore.»
     «Cosa fa di bello, in giro con questo freddo?»
     «Stavo guardando la vetrina» rispose in tono di giustificazione. «Dovrei comprare un paio di scarpe nuove per il mio Giuseppe, il bambino più grandicello.»
     «Eh, già, oggi è giorno di paga.»
     Antonio batté una mano vicino all’ascella. «Ho appena ritirato lo stipendio. Sì, signor direttore, oggi è il ventisette.»
     «Bene, bene!» approvò il superiore con giovialità paternalistica. «Faccia pure, arrivederci.»
     «Penso», lo trattenne Antonio, «che lo comprerò domani pomeriggio, insieme a mia moglie. Sa, le donne sono più pratiche in queste cose… Davo un’occhiata, così, tanto per vedere cosa offre il negozio.»
     «Allora può accompagnarmi per un pezzo. Dove va?»
     «A casa, naturalmente. Ma prima dovrei passare a prendere qualcosa nel negozio di alimentari.»
     «Beh, anch’io. Mi accompagni fin da Pozzoni.»
     La rosticceria si trovava una settantina di metri più avanti.
     «Bene, signor direttore, vengo anch’io.»
     «Vuole fare spesa da Pozzoni?» domandò il funzionario meravigliato, stringendosi nel cappotto dal collo di pelliccia.
     «Già che mi trovo…»
     Il direttore fece una specie di risatina che sembrava un colpetto di tosse… o forse era il contrario.
     Ad Antonio appariva gratificante quell’incontro estemporaneo, fuori dalle formalità che si dovevano rispettare nell’esercizio delle pubbliche funzioni. Da un po’ di tempo il superiore l’aveva preso a benvolere (lui se n’era accorto con una certa soddisfazione), dimostrando approvazione e interesse per il suo modo di insegnare. E siccome il maestro era ancora alle prime armi, passato in ruolo solo l’anno precedente, ciò acquistava una certa importanza. Il direttore avrebbe potuto mettere una buona parola a suo beneficio, tenendolo nella scuola di via Cesare Battisti anche l’anno scolastico successivo, o forse più a lungo. Altrimenti, essendo quella sede solo provvisoria, gli sarebbe facilmente toccato prendere servizio in qualche paese sperduto della provincia, magari a Trepalle, in alta montagna. E con la famiglia che si ritrovava… Sì, verso il direttore doveva essere deferente e solerte, e doveva cercare il più possibile di fare con lui una bella figura.
     Dall’incrocio con la stretta via Cavallotti veniva una musica allegra e martellante, suonata da un organetto di Barberia. Due bambini correvano inseguiti da un cane che abbaiava stizzito.
     «Prego, maestro.»
     «Si figuri! Dopo di lei» fece Antonio, aprendo la porta vetrata del negozio.
     L’interno era una festa per gli occhi e per il naso. C’era ogni ben di Dio, ordinatamente disposto sopra e dietro il banco, sui fianchi del locale. E prosciutti appesi al soffitto che promettevano le delizie del paradiso. Antonio, da Pozzoni, c’era stato solo una volta e ora si sentiva attratto ma anche un po’ intimidito. Suo suocero gli diceva sempre che quella era una bottega per i signori, e che lui, Celso, non se la poteva permettere.
     C’era solo una giovane donna, come cliente. La stava servendo un solerte commesso con i capelli lucidi di brillantina.
     «Signor maestro, se permette… Devo solo prendere una cosetta. Così, tanto per fare una sorpresa a mia moglie.»
     «Ma si figuri!» fece Antonio, lasciandosi scappare un vero e proprio inchino.
     Rivolto all’altro, dietro il banco (doveva essere il padrone), il direttore ordinò: «Mi dia cinquanta grammi di quel salmone».
      Antonio notò che sulla faccia del superiore si era stampata un’espressione che sembrava di golosità. Poi vide il bottegaio prendere una fettina di polpa rosata e metterla in un cartoccio oleato, piegarlo con cura come fosse una reliquia e porgerlo al cliente.
     «Grazie» disse quest’ultimo.
     «Ne dia anche a me» si affrettò a dire Antonio.
     «Quanto, signore?»
     «Beh…» indugiò Antonio. Non sapeva quanto prenderne. Lui, il salmone non lo aveva mai mangiato e quello era forse il momento buono per assaggiarlo. A casa c’erano quattro bocche da sfamare, più la sua. Va bene che tre erano solo boccucce, ma a volte proprio i piccoli sbafano ai quattro palmenti, quando si tratta di novità golose.
     «Me ne dia un chilo… Anzi, faccia un chilo e mezzo.»
     Il salumiere spalancò gli occhi.
     «È sicuro?» fece il direttore didattico, che col suo involtino in mano si stava avvicinando alla cassiera.
     «Beh, insomma… Noi siamo in cinque… sa…» farfugliò Antonio.
     Il bottegaio già si era messo al lavoro.
     Dopo aver pagato, il direttore sembrava aver fretta di uscire: «Allora la saluto, Novellino».
     «Arrivederci, signor direttore» rispose Antonio, chinando rispettosamente il capo.
     Poi fece le altre ordinazioni.

     Porta il bicchiere d’aranciata alle labbra, ma con uno scatto lo posa di nuovo sulla superficie del tavolo. L’occhio gli cade di nuovo sul pacco della spesa. Il suo stipendio è di sessantaduemila lire. In un attimo ne ha spese quasi trentamila. Oltre al chilo e mezzo di salmone, ha acquistato quelle due o tre cosette che doveva portare a casa quella sera: tre scatole di sardine sott’olio, una bottiglia di vino, due etti di prosciutto cotto e del formaggio da grattugiare. Ma da Pozzoni tutto è di prima qualità: il vino valtellinese, di riserva; il prosciutto, un Granbiscotto di primissima scelta; il formaggio, un parmigiano reggiano doc.
     Cosa avrebbe detto Wanda davanti a un simile salasso? È già difficile arrivare alla fine del mese, soprattutto quest’anno che il padrone di casa ha aumentato l’affitto. Poi ci sono le scarpe di Giuseppe e un paio di altre spese indispensabili. Sente un nodo in gola e lo stomaco sossopra. La bibita non ha fatto altro che peggiorare la situazione.
     Con uno scatto si alza in piedi. Guarda per un momento il sacchetto di carta colorata che contiene le cibarie acquistate. Vorrebbe afferrarlo e scaraventarlo sulla strada. Invece se lo riprende e va verso il banco.
     Qui, un avventore (sembrava quasi un barbone) sta dicendo alla barista: «Sì, questa sera non bado a spese. È il mio compleanno. Sono sessanta, sa? Mi dia un calice di quello buono… Il migliore che ha. Si vive una volta sola».
     Antonio lascia i soldi sul banco. Prima di uscire vede l’avventore con il bicchiere di vino alzato, rivolgersi a lui.
     «Alla sua salute, signore!»
     Risponde con un sorrisetto spento, poi esce. Anche la prosperosa barista gli ha fatto un cenno di saluto con il capo.
     Lo investe un soffio di vento gelido che fa mulinare un foglio di carta bianca. Stringendo il pacco al suo fianco, si avvia di buon passo.
     Ma sì, pensa Antonio, si vive una volta sola. Se Wanda avesse fatto delle scenate, l’avrebbe zittita. Dopotutto era lui il capofamiglia. Dei suoi sbagli non avrebbe dovuto rendere conto a nessuno, nemmeno alla moglie. Lui era padrone di fare e disfare. Li guadagnava lui i soldi, no? E in qualche modo avrebbe rimediato. Nel mese di marzo avrebbe fatto economia, a cominciare dalle sigarette. Quella sera non ne ha in tasca e non ne sente un particolare bisogno.
     I soldi. Portare nel portafoglio sessantaduemila lire dà una certa emozione. Forse, pensa, è stato proprio per la consapevolezza di avere in tasca quella cifra che non ha badato a spese. Deve avere fatto certamente un’ottima figura davanti al salumiere e alla sua cassiera, ma soprattutto davanti al direttore.
     «Salmone» dice a voce alta, prendendo a calci un barattolo schiacciato. «Speriamo che sia buono quanto costa.»
      Ma ha la vaga sensazione che gli rimarrà sullo stomaco.

    
    
     


2 commenti:

  1. Una scrittura ancora un po' "acerba", ma molto molto carino! Interessante la figura del maestro. Il clima d'altri tempi è ben ricreato.

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    1. Grazie per il commento. Lieto che sia piaciuto.

      Giuseppe Novellino

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